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venerdì 5 luglio 2013

Amiche mie, donne bellissime



Gemma Mannino Contin, Amiche mie, donne bellissime. Storie e leggende siciliane, Istituto Poligrafico Europeo, Palermo, 2010, 154 pp., ISBN 978-8896251-12-6.

Storie di donne ma non solo. C’è tanta bella Sicilia tra le pagine di questo libro: le radici arabe, i colori del mare, i profumi della terra. E c’è la politica: gli anni della devastazione ambientale, delle prime speculazioni edilizie e dei quartieri popolari abbandonati all’incuria, privi di reti fognarie e di acqua. Una cornice refrattaria al cambiamento e alla cultura la Sicilia di trent’anni fa, dove le mamme dovevano bloccare le strade in segno di protesta per poter lavare i loro bambini e le case, a causa della mancanza dell’acqua, ma anche il luogo della rinascita grazie agli sforzi di chi su questa terra ha voluto scommettere, anche a costo di perdere tutto, anche a costo di smentire qualsiasi buona previsione: da Maria Bellisario, a Elvira Sellerio, a Concetta e Lucia Mezzasalma, solo per fare alcuni nomi delle protagoniste di questo libro. E c’è un sottile filo conduttore che tiene insieme quelle storie di miseria e ribellione e di impegno sociale, culturale e politico: sono le donne siciliane di nascita o di adozione che hanno speso tutta la loro esistenza a sferzare le immagini stereotipate di una Sicilia ostile e inadatta allo sviluppo. Sono loro che hanno dimostrato concretamente che l’unica via possibile al cambiamento è «lo sforzo di grattar via, [sporcandosi], lo spesso strato di polvere e di indifferenza che ricopre e immobilizza» questa meravigliosa isola.
Sono le donne che negli anni ’50 hanno lottato per «liberarsi dalla schiavitù, [per] avere la libertà di coltivare la terra, di fare il pane. E di non dire al mafioso del paese e, a nessun altro mai più: baciamo le mani» [p. 56]. Donne cariche di figli e di lutti che l’8 marzo del 1970 si riuniscono per la prima volta a piazza Matrice, davanti alla Chiesa Madre, costrette a lottare, ogni giorno, per conquistare la propria autodeterminazione, contro i soprusi di maschi attorvati – spesso anche compagni – riottosi, in molti casi, a voler riconoscere loro rispetto e parità. Sembra di vederle quelle donne, nella splendida descrizione che Gemma Contin fa di quella prima manifestazione: il giallo delle mimose, il rosso delle bandiere, il nero dei vestiti listati a lutto.
Da quella manifestazione sono passati 40 anni di lotte e di conquiste: dalla campagna elettorale porta a porta – come si faceva allora, quando si passava più tempo tra la gente di strada e meno dentro le stanze di partito – ai comizi, alle manifestazioni. E viene quasi un moto irrefrenabile di nostalgia mista a rabbia quando Gemma ci ricorda gli scontri dell’8 luglio 1960 a Palermo e il movimento dei ragazzi dalle magliette a righe, le «riunioni interminabili» del Partito comunista. Rabbia e nostalgia per una realtà oggi troppo lontana e forse perduta per sempre, in cui valori, ideali e senso di appartenenza permeavano la vita di quei giovani che, totalmente assorbiti dalle letture e dalle discussioni politiche, volevano cambiare il mondo. Il Sessantotto, l’Autunno Caldo, il femminismo, l’impegno sociale e culturale e poi ancora la guerra in Vietnam, il movimento pacifista ma anche i morti di Avola e la lotta alla mafia. Il libro di Gemma ci racconta il dolce e l’amaro di un partito – il PCI – cui va riconosciuto il merito di aver conseguito straordinari risultati su temi importanti come i diritti dei lavoratori, la giustizia sociale, la lotta contro la criminalità mafiosa, ma in cui per troppo tempo, è stato vietato dissentire: la querelle del Manifesto, l’invasione di Budapest, la primavera di Praga. Tutte cose contro cui i giovani comunisti, quei giovani comunisti – di cui anche Gemma Contin faceva parte – si sono battuti aspramente fino a quando la svolta di Berlinguer del 1981 ha finito per dar loro ragione.
Pagine di storia: storia d’Italia e di Sicilia che si intersecano inevitabilmente con storie di vita. Perché questo significava fare politica a quei tempi: rinunciare a un concerto il cui biglietto era stato acquistato molto tempo prima, per partecipare alla riunione convocata in via Caltanissetta, dove si trovava la sede del Partito Comunista di Palermo, per discutere la questione del Manifesto e far valere le proprie ragioni di dissenso con la linea ufficiale dettata da Roma, anche a costo di «maledire Occhetto e tutti i suoi antenati» [p. 113] per aver convocato l’assemblea alle nove di una fredda domenica di novembre.
Gemma Contin ci regala col suo libro un pezzo di storia raccontato in modo diretto e fresco, con uno stile scorrevole, accattivante ed emotivamente coinvolgente. Chi, come me, ha vissuto anni di militanza politica ed è cresciuto in famiglie che hanno dedicato la vita a quei valori e a quella storia, troverà tra queste pagine una commovente traccia del proprio passato e della propria identità; per quanti invece si fossero accostati da poco a quella storia, questo libro costituisce un prezioso strumento di conoscenza, il segno e la memoria di un passato che ha permeato, nel bene e nel male, la vita di questo paese negli ultimi 60 anni.

Alessandra Mangano



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