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lunedì 30 dicembre 2013

«Buona caccia» ai nostri lettori nell'anniversario della nascita di Kipling (30 dicembre 1865)

Nel 1907 Ruyard Kipling è insignito del premio Nobel per Il libro della giungla. Oggi ricordiamo l’anniversario della nascita  dello scrittore britannico (30 dicembre 1865), augurando «buona caccia a tutti coloro che rispettano la legge della giungla» e anche ai nostri lettori!


mercoledì 25 dicembre 2013

Buone feste da LIBRidO!


 Cari Soci, Care Socie, Cari Amici, Care Amiche,

il 2013 è stato per noi un anno di prova, un anno che ci ha temprati. Abbiamo realizzato diverse attività con molta soddisfazione, dimostrando il nostro impegno e il nostro amore per la cultura. Non ci siamo mai fermati: il blog-rivista LIBIDO LEGENDI (tantissime sono le recensioni che mensilmente riceviamo in redazione), le presentazioni e gli eventi in occasione de Il maggio dei libri ne sono la prova, ma anche le iniziative partite a gennaio scorso come Salviamo l’odiato dizionario di latino! e il Servizio di ricerca bibliografica online, che abbiamo deciso di rinnovare anche per il 2014.
La raccolta dei libri per la campagna Dona un libro per liberare la cultura continua, nonostante le difficoltà nel trovare un luogo dove realizzare la biblioteca di quartiere e l’attesa, piuttosto lunga, di risposte concrete dalle istituzioni. Per l’anno nuovo abbiamo già in cantiere alcune preziose collaborazioni con altre realtà associative che operano nel mondo della cultura, come la Biblioteca Francescana di Palermo e il Museo Internazionale delle Marionette Antonio Pasqualino. Stiamo anche lavorando ad una nuova veste grafica per il sito web e arricchendo di ulteriori articoli e videointerviste la nostra pagina Facebook e il nostro blog.
Per l’anno prossimo ci auguriamo un 2014 pieno di attività e di iniziative che possano dare vigore al risveglio culturale della nostra regione e della nostra generazione. Saremmo lieti se la nostra sfida fosse incoraggiata e supportata, come è successo fino ad oggi, da Voi, con la vostra collaborazione e amicizia. Saremmo felici inoltre di rendervi partecipi di ogni nostra attività. Cogliamo l’occasione per augurarvi buon Natale e felice anno nuovo, nella speranza che queste festività portino a tutti serenità, e che il 2014 si riveli migliore dell’anno che sta per concludersi.
Lasciate che i bambini vivano un sogno ad occhi aperti. Luci, colori, angeli e frutta colorata da appendere all’albero di Natale. Per una notte o forse qualcuna in più si potrà costruire un mondo più luminoso, immaginare cose belle, tuffarsi in atmosfere mozzafiato. Queste sono le piccole cose grandi che, porteremo nel cuore da adulti, per essere un po’ più sorridenti, un po’ più felici. Stephen Littleword, Aforismi

Palermo 24/12/2013
Il Presidente

Vincenzo Bagnera



lunedì 23 dicembre 2013

A Christmas Carol illustrated by Arthur Rackham - XII

Charles Dickens, A Christmas Carol, illustrated by Arthur Rackham, London-Philadelphia, Heinemann-Lippincott, 1915, X, 147 pp.


"Now, I'll tell you what, my friend," said Scrooge. "I am not going to stand this sort of thing any longer."

domenica 22 dicembre 2013

A Christmas Carol illustrated by Arthur Rackham - XI

Charles Dickens, A Christmas Carol, illustrated by Arthur Rackham, London-Philadelphia, Heinemann-Lippincott, 1915, X, 147 pp.


"It's I, your uncle Scrooge. I have come to dinner. Will you let me in, Fred?"

sabato 21 dicembre 2013

A Christmas Carol illustrated by Arthur Rackham - X

Charles Dickens, A Christmas Carol, illustrated by Arthur Rackham, London-Philadelphia, Heinemann-Lippincott, 1915, X, 147 pp.


"What do you call this?" said Joe. "Bed-curtains."

venerdì 20 dicembre 2013

A Christmas Carol illustrated by Arthur Rackham - IX

Charles Dickens, A Christmas Carol, illustrated by Arthur Rackham, London-Philadelphia, Heinemann-Lippincott, 1915, X, 147 pp.


"How are you?" said one. "How are you?" returned the other. "Well!" said the first. "Old Scratch has got his own at last, hey?"

giovedì 19 dicembre 2013

A Christmas Carol illustrated by Arthur Rackham - VIII

Charles Dickens, A Christmas Carol, illustrated by Arthur Rackham, London-Philadelphia, Heinemann-Lippincott, 1915, X, 147 pp.


The way he went after that plump sister in the lace tucker!

mercoledì 18 dicembre 2013

martedì 17 dicembre 2013

lunedì 16 dicembre 2013

A Christmas Carol illustrated by Arthur Rackham - V

Charles Dickens, A Christmas Carol, illustrated by Arthur Rackham, London-Philadelphia, Heinemann-Lippincott, 1915, X, 147 pp.



Then old Fezziwig stood out to dance with Mrs. Fezziwig

domenica 15 dicembre 2013

A Christmas Carol illustrated by Arthur Rackham - IV

Charles Dickens, A Christmas Carol, illustrated by Arthur Rackham, London-Philadelphia, Heinemann-Lippincott, 1915, X, 147 pp.


The air was filled with phantoms, wandering hither and thither in restless haste and moaning as they went

sabato 14 dicembre 2013

A Christmas Carol illustrated by Arthur Rackham - III

Charles Dickens, A Christmas Carol, illustrated by Arthur Rackham, London-Philadelphia, Heinemann-Lippincott, 1915, X, 147 pp.


Nobody under the bed; nobody in the closet; nobody in his dressing-gown, which was hanging up in a suspicious attitude against the wall

venerdì 13 dicembre 2013

A Christmas Carol illustrated by Arthur Rackham - II

Charles Dickens, A Christmas Carol, illustrated by Arthur Rackham, London-Philadelphia, Heinemann-Lippincott, 1915, X, 147 pp.


Bob Cratchit went down a slide on Cornhill, at the end of a lane of boys, twenty times, in honour of its being Christmas Eve

giovedì 12 dicembre 2013

A Christmas Carol illustrated by Arthur Rackham - I

Charles Dickens, A Christmas Carol, illustrated by Arthur Rackham, London-Philadelphia, Heinemann-Lippincott, 1915, X, 147 pp.



"How now?" said Scrooge, caustic and cold as ever. "What do you want with me?"

mercoledì 11 dicembre 2013

Illustri Illustratori: Arthur Rackham (a cura di Agostina Passantino)


Il Natale è ormai alle porte, e fa a gara con il freddo, che credo abbia avuto la meglio per questo inverno.
Come ogni Natale che si rispetti ritornano le luci, gli alberi, i jingle e i racconti ad esso dedicati, che accantoniamo durante il resto dell’anno, ma che giunti a dicembre rispolveriamo e sentiamo molto vicini. Un racconto che merita di essere tirato fuori dal baule per il periodo da natalizio è A Christmas Carol, di Charles Dickens.
Dickens dovette proprio sbrigarsi molto a scrivere questa fiaba edificante, se fu pronta in soli due mesi, bella ed impacchettata per il Natale del 1843.
Quello che si vuole ricordare in queste righe non sono, però, i temi affrontati dal
Carl Barks, Christmas Composition, 1972
libro, non la vita dei ceti sociali londinesi, quelli economicamente più svantaggiati - tutti temi ricorrenti in Dickens - non l’avaro e tanto caro Ebenezer Scrooge, bensì i disegni che l’innegabile fascino letterario di A Christmas Carol ispirò ai pennelli e alle matite di famosi illustratori, come Carl Barks (27 marzo 1901 – 25 agosto 2000), che, partendo dalla figura del gretto protagonista, diede vita all’immortale personaggio di Uncle Sgrooge – Paperon de’ Paperoni – apparso per la prima volta nella storia Christmas on Bear Mountain, pubblicata sul n. 178 di Four Color e più volte edita in Italia (Il Natale di Paperino sul Monte Orso su Topolino giornale N.677 del 1948, Paperino sul Monte Orso su Topolino N.2716 del 2007) e la cui fama continua ormai al di là del legame che aveva avuto con il dickensiano personaggio.

Arthur Rackham, Autoritratto, 1934
L’illustratore illustre di cui ci occuperemo è Arthur Rackham.
Rackham è stato un noto illustratore inglese del periodo vittoriano (19 settembre 1867 – 6 settembre 1939). Arthur già da bambino aveva mostrato una spiccata predilezione per il disegno e soprattutto l'acquerello, e trascorreva il tempo libero riproducendo gli esemplari esposti al British Museum e al Museo di storia naturale di Londra, dove passava molto tempo.
Pubblica il suo primo libro illustrato nel 1893 e rimane in attività fino alla sua morte, riuscendo a mantenere costante la sua indiscussa popolarità. I suoi lavori non si limitano solo ai libri di fiabe, ma anche ad opere per adulti.
Rackham illustra il libro di Dickens nel 1915, dopo essersi già dedicato alle illustrazioni di Alice in Wonderland e di Peter Pan in Kensington Gardens, dove ha già avuto modo di introdurre i suoi elementi ricorrenti, forse riconducibili ai modelli naturalistici che aveva avuto da ragazzo: il sottobosco, il piccolo mondo, le fate e gli animali fitomorfi.
Arthur Rackham, Rhein maidens
warn Siegfried
, 1912

Lo stile che adotta per il libro è una specie di new age liberty, un’alternativa al rigido formalismo tipico dei suoi tempi, che scardina dall’onirica dimensione utilizzata per Alice, ma che allo stesso tempo realizza dei disegni nervosi ma eleganti, tale da fornire una equa combinazione tra angoscia e dimensione del sogno, che sfiora a tratti il macabro e fa intravedere negli occhi delle sue creazioni una sensazione stralunata e impaurita per le irrealtà cui è portato ad assistere (si vedano a tal proposito le illustrazioni dei tre Spiriti). Tutte le sue illustrazioni rimangono sul filo dello stile floreale senza mai uniformarvisi del tutto.

Arthur Rackham, Brünnhilde is visited by
her Valkyrie sister Waltraute, 1912
La sfera è quella delle fiabe.
Certamente fu influenzato da Albrecht Dürer, e da John Tenniel; influenzò numerosi illustratori contemporanei e successivi e lo studio Disney, per la realizzazione del suo primo lungometraggio, Biancaneve.
Per capire meglio occorre dare uno sguardo alle illustrazioni contenute all’interno di A Christmas Carol. Buona visione e che «Dio ci protegga tutti e ci benedica», per dirla come Tiny Tim!


giovedì 5 dicembre 2013

Caro sindaco, parliamo di biblioteche

Antonella Agnoli, Caro sindaco, parliamo di biblioteche, Milano, Editrice Bibliografica, 2011, 137 pp., (Conoscere la biblioteca, 5), ISBN 978-88-7075-709-5.

Caro Sindaco,
«Le nostre città hanno bisogno urgente di biblioteche di nuova concezione, dove i cittadini si possano incontrare stabilendo relazioni sia intellettuali sia affettive. Ripensare gli spazi urbani, sottrarli alla commercializzazione, farne luoghi di incontro, di scambio, di azione collettiva. La biblioteca pubblica, a lungo ignorata dalla politica e oggi minacciata da internet nel suo ruolo informativo, può diventare un territorio aperto a gruppi e associazioni, un centro di riflessione e di condivisione dei saperi, il nodo centrale di una rete con altre istituzioni culturali. In un Paese sempre più ignorante, che rischia di restare ai margini dell’economia della conoscenza, la biblioteca pubblica deve diventare parte di un progetto di rinascita dell’Italia, un luogo di libertà e di creatività per ogni cittadino».
Antonella Agnoli scrive questo libro con l'intento e la speranza di spiegare a Lei, alla Sua giunta e alla Sua amministrazione, ma soprattutto a Lei - uomo politico che ha nelle mani una parte di responsabilità per i servizi offerti ai cittadini e quindi della qualità di vita dei suoi concittadini - l'importanza, l'utilità e la necessità di una biblioteca pubblica all'interno della società contemporanea e all'interno della Sua comunità, che l'ha scelta come guida e come garante dei suoi diritti (sia essa una grande città, un paese di provincia o un villaggio tra le montagne).
Nel libro della Agnoli - bibliotecaria da più di 30 anni ed esperta in biblioteche - sono menzionate ragioni ideali e ragioni pratiche per istituire una biblioteca o per rinnovare e potenziare i servizi di quella già esistente, e un po' dimenticata, perché lasciata a qualche impiegato senza voglia e senza interesse.
Tolleranza, pluralità, democrazia, volontariato, altruismo sono alcune di quelle ragioni ideali, belle, sognanti, platoniche, forse utopiche, ma che hanno la loro ragion d'essere in un mondo troppo distratto dai valori del capitale, della finanza, dello spread, poiché garantiscono ancora una speranza a chi non è stato ancora corroso dal cinismo estremo dell'effimero e del consumo.
Nella seconda parte del libro, Mattoni, scaffali, e-book [pp. 79-125], invece, sono spiegate le ragioni pratiche per avere una biblioteca. Nonostante le ragioni del portafoglio e della logistica - quelle sulle quali i politici, gli amministratori, i dirigenti avanzano tutti i «ma» e i «purtroppo» - la biblioteca (la biblioteca funzionante, si intende) è un serbatoio di servizi per i giovani (orientamento al mondo del lavoro e all'istruzione), di sicurezza per i genitori e per gli educatori, assistenza agli anziani per la burocrazia generale e l'internet.
L'autrice incorpora anche molte idee per come fare, per cosa fare, con quali mezzi realizzare una biblioteca funzionale per tutti. Molti modi, idee e soluzioni per ridurre i costi e potenziare le risorse a costo zero. Non sono solo idee, ma esempi concreti realizzati in alcune biblioteche della penisola per il fund raising (locuzione inglese per dire "raccolta fondi", che fa molto più presa nel politichese e nelle campagne elettorali) e altre attività per coinvolgere i cittadini, i giovani e le associazioni nella vita della biblioteca comunale.
Magari, Lei, caro Sindaco, potrebbe dare un'occhiata, insieme all'Assessore alla Cultura e all'Assessore alle Politiche giovanili e alle politiche sociali, a questi link che riportano ai siti web di alcune realtà funzionali e funzionali di biblioteche:
eFFeMMe23 Biblioteca LaFornace, Comune di Maiolati Spontini (un paese di poco più di 6 mila abitanti).
Caro Sindaco, legga questo libro, sono poche pagine. Lo faccia leggere anche alla Sua giunta e ai Consiglieri che sostengono la Sua maggioranza. Tenga presente anche che «le biblioteche sono una irrinunciabile 'infrastruttura democratica' e questo è il motivo per cui sono necessarie. Il problema non è se i cittadini ci vadano o no: è che devono avere la possibilità di andarci. Non c'è teoria moderna della democrazia che ammetta un cittadino disinformato e ignorante. Una biblioteca arricchisce il tessuto democratico rendendo possibile a ognuno di informarsi, e di formarsi, in un confronto con gli altri» [p. 128]. Signor Sindaco faccia leggere questo libro anche a Sua figlia, a qualche insegnante e qualche giovane di buona volontà. Poi ascolti questi ultimi.


Piero Canale



Alessia in Cosplayland

Storia di Alessia

Ci sono storie normalmente normali e altre straordinariamente normali. Come la storia di Alessia, una ragazza vivace e talentuosa, appassionata di anime e manga, che diventa scrittrice di romanzi fantasy. Ma questa sarebbe una bella storia normalmente normale. A diciotto anni, infatti, le viene diagnosticata l’Atassia di Friedriech che spiega infine la spossatezza, i dolori, la perdita di equilibrio. È un periodo orribile. La malattia, rara e degenerativa, avrebbe normalmente spento l’animo di chiunque, ma non di Alessia. Lei scopre che se Maometto non può andare alla montagna, le si può connettere via web. Dalla sua stanza via modem trova amiche dagli interessi comuni con cui confrontarsi, che la spingono infine a visitare insieme una convention di comics. E qui le si disvela l’universo del Cosplay, ossia dell’arte d’impersonare un personaggio di film o manga, creandosi un costume fedele ma soprattutto incarnandone lo spirito e le mosse. Alessia decide di provare, e scopre il piacere di esser guardata dalla gente non più per la sua disabilità, ma per la sua capacità d’immedesimazione. Così la sua storia diviene straordinariamente normale: incurante delle pastoie dell’Atassia, come qualsiasi ragazza segue e persegue la sua passione. Con l’aiuto della nonna Betty, suo angelo custode, inizia a progettare, assemblare, cucire, ricamare e forgiare cinture, corone, armi e tuniche, divenendo una delle più note cosplayer d’Italia dal nome d’arte di Ryuki. Uscita dal guscio, Alessia è inarrestabile: da partecipante diviene organizzatrice di eventi, performer e infine autrice di saghe fantasy. Nel blog dedicato ai suoi cosplay (http://www.ryukicosplay.com) spiega: «Ciò che sono si può riassumere in un'unica parola... sognatrice! Fin da bambina ho usato la mia mente, la mia fantasia, per inventare storie e mondi immaginari in cui potermi perdere, in cui poter dimenticare i brutti momenti che spesso ho passato... Crescendo ho trasformato quei giochi di bambina in storie scritte, racconti, popolati di personaggi che erano ciò che avrei voluto essere io». Non bisogna credere che la natura sognante implichi il distacco dalla realtà, dovendo lei sempre far comunque i conti con la malattia. Alessia decide dunque di scrivere la sua storia in una biografia che significativamente intitola Alessia in Cosplayland, perché similmente all’Alice di Carroll, vive una meravigliosa avventura, stavolta nella Terra del Cosplay. Questo racconto aveva sottesa la vocazione al fumetto, ed ecco il motivo di questa doppia recensione, che vuole raccontare le due facce della stessa storia da due diversi punti di vista. Si sottolinea che il ricavato delle vendite dei due volumi è devoluto alla ricerca sull’Atassia di Friedrich.


Alessia Mainardi, Alessia in Cosplayland, Fidenza, Mattioli 1885, 2011, 108 pp., ISBN 978-88-6261-206-7.

Alessia racconta la sua storia in prima persona con uno stile semplice, sincero, corredandola di un repertorio fotografico per far apprezzare la qualità finale raggiunta dal Cosplay di Ryuki (sé stessa). Vediamo sfilare così Jack Sparrow, la Sposa Cadavere, Maria Antonietta, Lady Oscar, Magneto, Legolas, Satine, Elizabeth Swann, la Regina Bianca, Elizabeth I, e altri ancora. Hanno tutti gli occhi di Alessia, ma sono altro. Leggendo si comprende come l’immedesimazione sia totale, e di come questo ‘altro’ fosse divenuto per lei sempre più importante, perché la astraeva dalla sua condizione esistenziale. Il pericolo era, però, quello di giungere alla autoreclusione in un universo parallelo di spade e parrucche. E infine le si aprirono gli occhi: «Nel momento in cui mi sono accorta che il Cosplay cominciava a prendere il sopravvento sulla mia vita e su chi sono realmente, ho deciso che avrei trovato il modo di essere io a sfruttare il Cosplay per fare qualcosa di davvero utile» (p. 89). La stesura di questo libro è dunque la catarsi da una situazione difficile, da una vita divenuta recitata e autoreferenziale. Alessia mette nero su bianco senza ritrosia certezze e paure, ma le inserisce in un apparato grafico che rende il libro quasi un fumetto, cosparso da mini dolls ammiccanti ispirate ai suoi Cosplay. Ci si stupisce di non dover leggere il libro manga style, cioè dall’ultima alla prima pagina, ma ancora di più del grande messaggio di base a tutto questo: «Rimanere aggrappata al ‘Paese delle Meraviglie’ senza portare al di fuori quello che mi aveva regalato era esattamente come ripiombare nella stagnante immobilità dei miei anni bui. Ora finalmente Alessia è soltanto Alessia e ha una gran voglia di andare avanti realizzando uno dopo l’altro tutti i suoi sogni con la volontà che ha capito di possedere, che è ciò che rende chiunque in grado di realizzare l’impossibile» (p. 97). Alessia Mainardi vive e lavora a Parma e per questa autobiografia ha già vinto il Premio Musa e il Premio Toyp; è anche autrice delle due trilogie fantasy Argetlam (Emmeci) e Avelion (Mattioli 1885 Editore).


Ivan Bella, Simone Brusca, Alessia Mainardi, Alessia in Cosplayland. Lo specchio della realtà, Piacenza, Grafiche Lama, 2013, 96 pp., ISBN 978-88-96037-40-9.

Se la biografia è la storia che Alessia doveva tirar fuori e da cui – sotto certi aspetti - prenderne le distanze, il fumetto - o, come si dice oggi la graphic novel - è stato il feedback che le è tornato indietro. Perché in fondo la sceneggiatura di Simone Brusca e i disegni di Ivan Bella hanno fatto questo: dare la loro versione dall’esterno. Hanno trasformato il lungo monologo dell’autobiografia di Alessia in un racconto perlopiù in primo piano, che si allarga in panoramiche significative, ma che sempre ha lei in fuoco. Il taglio cinematografico è chiaramente presente per tutta la storia: le vignette sono spesso zoomate, le sequenze hanno un ‘montaggio’ talvolta serrato e talvolta rilassato, ad assecondare gli stati d’animo di Alessia. Come felice espediente narrativo compare il vero macroingrandimento delle cellule degenerate dalla malattia per scandire l’aggravarsi costante delle sue condizioni. Non traggano in inganno le scene oniriche e i costumi dei cosplayers: se la novel fosse una pellicola sarebbe comunque un film neorealista, con il suo bianco e nero severo, che non risparmia gli episodi meno felici perché vuole essere obiettivo e non consolatorio. Non serve. Alessia, con la sua tempra, non necessita e non gradisce compatimenti, ripetendo il suo motto: “La volontà ci rende in grado di realizzare anche l’impossibile” (p. 93). Simone Brusca, già sceneggiatore dell’opera Psicometrica: memorie da un futuro remoto (Verbavolant), vive e lavora a Palermo, da dove gestisce anche il suo blog www. filidifumetto.blogspot.it. Ivan Bella, dopo il corso di comix alla Scuola del fumetto di Roma, è qui alla sua prima graphic novel.


Eloisia Tiziana Sparacino








Ventimila leghe sotto i mari

Jules Verne, Ventimila leghe sotto i mari, Milano, BUR, 2004, 438 pp., ISBN 978-88-17-00-244-8.

Una bandiera nera con una "N" dorata al centro. Questo è il vessillo del Capitano Nemo che sventola al Polo Sud.
«Mobilis in mobile» è il suo motto.
Il Capitano Nemo - misteriosissimo e imperscrutabile principe indiano, un po' pirata, un po' filosofo e un po' scienziato - è la figura centrale, preponderante e apparentemente contraddittoria di Ventimila leghe sotto i mari, romanzo, forse, tra i più popolari di Giulio Verne. Eppure del personaggio si sa poco, come poche sono le sue parole, pochissime; le sue emozioni quasi pari a zero; le sue azioni secche e risolute al massimo grado; la sua conoscenza profonda e superiore del mondo e della natura. Il prof. Aronnax, stimato e acclamato naturalista, tuttavia, ne resta profondamente ammaliato e affascinato. Una sorta di sindrome di Stoccolma, che investe in pieno il naturalista - costretto a uno status di prigioniero, insieme a Ned Land e a Consiglio - e che si basa sulla meraviglia del conoscere e della scienza.
Abituati alle fantasiose e sempre artificiose tecniche dell'effetto speciale cinematografico fine a se stesso, è difficile - per certi versi - comprendere e accogliere la natura avventurosa e fantascientifica di questo capolavoro della seconda metà dell'Ottocento, che ebbe un notevole successo e che fa parte di una trilogia che inizia con I figli del capitano Grant e si conclude con L'isola misteriosa.
Uscito nel 1870 per i tipi di Hetzel, il romanzo è ambientato nel 1867 (alla vigilia dell'apertura del canale di Suez), negli anni in cui le potenze europee hanno raggiunto l'acme nella corsa alle colonie. L'opera di Giulio Verne appare come una fotografia attenta del mondo europeo ottocentesco e nello stesso tempo punto di svolta e cambiamento. Infatti, pur non essendo un romanzo per certi versi "enciclopedico" e didascalico, in esso convivono due nature che sono entrambe facce della stessa medaglia della conoscenza. Il Positivismo imperante, classificatorio e tassonomico del prof. Aronnax e del suo aiutante Consiglio, fa da contraltare alla conoscenza e alla padronanza della tecnica raggiunto dal Capitano Nemo, le quali si esprimono principalmente nella progettazione del Nautilis e nelle sue sofisticatissime apparecchiature. Il grado della tecnica raggiunto dal Capitano e il suo uso, che sembrano andare verso una concezione umanitaria e non economica del progresso, sono tuttavia connotate, in maniera paradossale, dal distacco e dall'esilio volontario del capitano dal mondo e dagli esseri umani. Dichiarando di non voler più mettere piede sulla terra ferma e di non volerne più essere dipendente per quanto riguarda le materie prime e le risorse energetiche - così come dal lavoro degli uomini -, il Capitano Nemo esclude, di fatto, il mondo dalla sua conoscenza e dalle meraviglie che si possono ammirare soltanto esplorando gli abissi.
Non è un caso però che dietro questo distacco misantropico (tanto da far apparire il Nautilus come un monastero sottomarino, dove albergano il silenzio e la solitudine, e risuonano le note dell'organo suonato dal capitano) si nasconda uno dei primi manifesti "ecologisti" rivolti al grande pubblico:

- Voi amate il mare, capitano?
- Sì! L'amo! Il mare è tutto. Copre i sette decimi del globo terrestre; il suo respiro è puro e sano; è l'immenso deserto in cui l'uomo non è mai solo, poiché sente fremere la vita al suo fianco. Il mare non è altro che il veicolo di un'esistenza straordinaria e prodigiosa; non è che movimento e amore, è l'infinito vivente, come ha detto uno dei vostri poeti. Infatti, signor professore, la natura si manifesta qui con i suoi tre regni: minerale, vegetale, animale. Quest'ultimo vi è largamente rappresentato da quattro gruppi di zoofiti, da tre classi di articolati, da cinque classi molluschi, da tre di vertebrati, dai mammiferi, dai rettili e dalle innumerevoli legioni di pesci, che contano oltre tredicimila specie, di cui un decimo soltanto appartiene all'acqua dolce; il mare è il serbatoio della natura; è dal mare che il globo è, per così dire, incominciato, e chissà che non finisca in lui. Nel mare è la tranquillità suprema. Il mare non appartiene ai despoti, che possono solo esercitare alla sua superficie diritti iniqui e battersi, e divorarsi, e trasportarvi tutti gli orrori della terra, ma a trenta piedi sotto il suo livello, il loro potere cessa, la loro influenza si estingue, tutta la loro potenza svanisce! Ah! Signore, vivete, vivete in mezzo ai mari! Qui soltanto è indipendenza, qui non riconosco padroni, qui sono libero! [pp. 89-90]

Il Nautilus sembra quasi una nave di Greenpeace ante litteram.
L'aspetto "attivista" e rivoluzionario del Capitano si intravede, non solo nelle parole appena riportate che inneggiano a una riflessione attenta sulle risorse e sullo sfruttamento dei mari, ma anche in quelle azioni - che il linguaggio contemporaneo definirebbe "sovversive" e che sembrano un'ulteriore contraddizione del carattere misterioso del Capitano - di aiuto finanziario ai rivoluzionari greci, sostenuti con l'oro recuperato dai relitti dei galeoni spagnoli, oppure di aiuto agli ultimi e agli sfruttati, come i poveri raccoglitori di perle dell'isola di Ceylon, sfruttati dagli Inglesi (ci sarà in questo episodio un modesto omaggio a Bizet e alla sua opera Les pêcheurs de perles del 1863?).
Le pagine di Ventimila leghe sotto i mari soffrono in alcuni tratti i 150 anni circa di età, tuttavia esse nascondono la freschezza e la lungimiranza di Giulio Verne e di un mondo comunque votato alla scoperta e al progresso non solo scientifico e tecnologico, ma anche umano.
Quello che è stato un romanzo per ragazzi, forse oggi appare estremamente noioso alle generazioni multitasking, eppure la sua lettura può ancora riservare stupore e meraviglia.


Lorenzo Cusimano



Bibliotheka Edizioni online!

Bibliotheka Edizioni è una nuova realtà dell'editoria italiana. Nata il 1° luglio 2013 con un tweet, si è proposta al mondo guardando in direzione del libro elettronico e delle infinite possibilità che l'editoria digitale può riservare in un mercato del libro che vive una mutazione, che è purtroppo oscurata dalla crisi economica.
Santiago Maradei, l'editore, ci ha raccontato un po' la sua esperienza nel mondo della comunicazione e dell'editoria. Ci ha indicato la sua ferma convinzione nelle potenzialità del mercato dell'ebook e della possibilità che l'editoria possa realmente rappresentare un settore di rilancio dell'economia italiana, perché l'Italia è un paese con un patrimonio di creatività e di originalità, che trova pochi eguali nel resto del mondo. Aggiunge che forse siamo, più che altro, un popolo di scrittori che di lettori, ma è fiducioso nelle potenzialità del progetto, che punta alla qualità ancor prima che ai numeri.
Le piccole realtà hanno bisogno di farsi spazio e di sfruttare al meglio le potenzialità del web e dei social network, per questo motivo la soluzione adottata dalla nuova casa editrice è quella di rendere anche l'autore responsabile, insieme all'editore, della diffusione dell'opera. Infatti, ogni autore ha accesso a una pagina personale all'interno del sito dell'editore che può essere personalizzata e aggiornata dallo stesso, e a un'area riservata dalla quale effettuare il controllo delle vendite. A quest'originale meccanismo di co-responsabilizzazione tra editore (che comunque si impegna a garantire la vendita del libro sia in formato cartaceo sia in digitale nelle maggiori piattaforme di vendita online) e autore, Bibliotheka Edizioni ha deciso di corrispondere all'autore il 50% dei ricavi della vendita dell'opera. Ciò è ovviamente possibile saltando i passaggi e i balzelli che gravano sulla distribuzione del libro in Italia e colpiscono soprattutto i piccoli editori.
Dal 2 dicembre 2013 sono disponibili le prime venti opere del catalogo della casa editrici. Le opere sono state selezionate tra quelle inviate entro il 1° ottobre del 2013 per l'offerta speciale startup. Un'iniziativa che ha avuto un buon successo e che ha visto giungere in redazione un enorme numero di opere, tra le quali una sessantina molto valide. L'elenco delle venti opere selezionate è consultabile sul sito www.bibliotheka.it
Auguriamo a Bibliotheka Edizioni buon lavoro e un 2014 carico di tante novità editoriali per i lettori!

Piero Canale


Una porta nel cielo

Roberto Baggio, Una porta nel cielo. Un’autobiografia, Arezzo, Limina, 2001, 191 pp., 88-86713-81-9.

Voglio parlare di calcio, una delle poche vere passioni della mia vita. Ovviamente non parlo dello pseudo-sport a cui siamo abituati da più di un decennio a questa parte, ma un calcio che oramai abbiamo in pratica scordato, fatto di uomini, sacrificio e passione. Tutto questo è Roberto Baggio, che secondo me è stato “Il Signore” del calcio.
Eduardo Galeano, giornalista, scrittore e saggista uruguaiano, riferendosi a Baggio disse che «in questi ultimi anni nessuno ha offerto tanto buon calcio e tanti argomenti di discussione». Ed è proprio vero: per molti, compreso un recente sondaggio realizzato in rete su scala mondiale, Roberto Baggio è il terzo giocatore di tutti i tempi, dopo Pelé e Maradona.
Il volume è la sua autobiografia. Il libro delle risposte, delle confidenze, degli «sfoghi gentili» (quarta di copertina). Ma anche il libro delle scoperte: la scoperta di un talento purissimo fin dagli esordi e di un uomo che, ancor prima di approdare in serie A, si vede esplodere un ginocchio. Ginocchio che lo costringerà per tutta la carriera professionistica a giocare «con una gamba e mezzo» (p. 31). Roberto Baggio parla sia della sua passione per il calcio, coltivata fin da bambino e vissuta sempre in mezzo a tanti sacrifici e dolore, sia delle sue passioni incontrate nella vita: la famiglia, l'amicizia, la fede e la caccia. Il numero 10, dal tocco raffinato e romantico, si racconta in questo volume, dove ripercorre la sua carriera: la gioventù a Caldogno, il drammatico infortunio a Vicenza, l'amore del tifo a Firenze e Bologna, il suo percorso da miglior calciatore del mondo nella Juventus di Trapattoni e nella nazionale di Sacchi, quel maledetto rigore a Pasadena, le incomprensioni con Ulivieri e Lippi. Insomma un vortice di ricordi, sensazioni ed emozioni dove si scopre che talento e classe non sono venuti a mancare anche nella sfera umana e personale. In questa lunga intervista viene illustrata tutta la vita calcistica di Baggio, ma sono presenti anche piacevoli intervalli di poesia e spiritualità (ricordo, infatti, che ha abbracciato la fede buddista sin dai primissimi anni ’90).
In un'Italia che va a rotoli in ogni direzione, dunque anche nel calcio, Roberto Baggio è stato l’ultimo grande calciatore italiano. Consiglio questo libro a chi vuol conoscere più a fondo, come merita, un grande campione dell'Italia sportiva, che si racconta con sincerità, spontaneità e ironia, regalandoci, col suo esempio, la speranza, la fiducia e la forza di non mollare mai.

Biagio Bertino





Resistere non serve a niente

Walter Siti, Resistere non serve a niente, Milano, Rizzoli, 2013, pp. 324 (La Scala), ISBN 978-88-17-05846-9.

 Resistere non serve a niente è l’ultimo romanzo di Walter Siti, vincitore del LXVII Premio Strega 2013, ma questo non vuol dire niente.
Edito dalla Rizzoli, il volume mi è stato segnalato da un’amica (attenzione: non consigliato, segnalato!), affinché ne dessi un parere personale, visto l’indiscusso successo raggiunto nella critica e nelle recensioni che si possono leggere sul web, nonché la premiazione di cui si è detto.
Personalmente non conoscevo né il romanzo, né lo scrittore, nato a Modena nel 1947, già docente presso le Università di Pisa, Cosenza e L’Aquila.
Il mio giudizio, però, non è positivo e non saprei neppure spiegare perché gli altri invece lo siano: per assecondare il vincitore di un premio letterario; per non andare contro corrente. Non saprei, in ogni caso de gustibus
Se dovessi descrivere questo libro in una parola, lo definirei “squallido”.
Carico di luoghi comuni, in cerca di approvazione e colmo di quegli atteggiamenti corrotti e meschini fin troppo noti nello scenario italiano del III millennio.
Resistere non serve a niente mi appare come la narrazione delle realizzazioni di un infelice che, nonostante tutto, resta tale: Tommaso.
Tommaso non ha fatto di sé un uomo, non ha forgiato il proprio carattere attraverso le vissute esperienze, negative o positive che siano, Tommaso si è ritrovato adulto ed ha voltato le spalle al suo passato e addirittura, se potesse, prenderebbe in giro il giovane se stesso, deridendolo e schierandosi dalla parte di quanti lo avevano realmente fatto.
Ha cambiato aspetto, ricorrendo alla chirurgia estetica, eliminando assieme ai chili di troppo il lato debole del suo carattere; la maschera che indossava è divenuta il suo nuovo se stesso.
Se è vero che «il carattere [non] sia fissato dalla prima infanzia» e che «quel che conta è il lento sedimentarsi delle censure, delle preferenze, dei sotterfugi» (p. 101), è anche vero che Tommaso durante la sua esistenza fa di tutto per appagare e colmare i vuoti e le mancanze che si sono accumulate proprio a partire della sua prima infanzia, come la mancanza di un padre, o la presenza dominante di una madre troppo schiava della sua condizione di donna rimasta sola.
Un bambino insoddisfatto che si ritrova in mano un grande potere da adulto, ottenuto a seguito di losche vicende e affari poco puliti, un potere che adopera per diletto personale, come un voglioso adolescente: gioca, non pondera le conseguenze delle azioni; trae piacere personale, senza produrre.
L’intero volume risulta essere privo di una descrizione paesaggistica, di una descrizione dettagliata dei personaggi e degli ambienti. Un turpiloquio che scade spesso nella volgarità espressiva fine a se stessa, che a lungo andare risulta noiosa e ripetitiva, e non, come tenta di essere, accattivante e maledetta, come può risultare l’altrettanto perverso ma misterioso Sperelli di dannunziana memoria.
Sono tornata più volte a leggere il libro dall’inizio, a causa dell’istintiva distrazione, per la mancanza di elementi di unione tra un discorso e l’altro, ma anche a causa del triplice inizio del romanzo, prima sotto forma di introduzione, poi di riflessione, infine come discorso in medias res, in cui è difficile introdursi e districarne i personaggi.
Se letto da chi non possiede una chiara cognizione della meritocrazia e di ciò che è lecito o meno, il libro rischia di apparire fuorviante e pericoloso.
Inoltre la prima parte mi appare totalmente priva di collegamento con la seconda: la prima sembra quasi uno sterile riempitivo per aumentarne il numero di pagine, come si faceva a scuola durante i temi; la seconda può dare spazio a spunti e riflessioni su alcune dinamiche della corruzione e sulla famosa zona grigia tra criminalità e finanza, sebbene il registro linguistico continui ad essere scurrile e volgare.
Dopo la richiesta esplicita di Tommaso di fare sesso con la figlia dodicenne, rivolta ad un padre di famiglia per ripagare un debito, episodio decisamente fuori luogo, svincolato dal resto della trama, il romanzo termina senza fornire nessuna informazione aggiuntiva sulle perversioni e sull’anti-meritocrazia vigenti nell’Italia-che-conta e che decide le sorti di tutti.
Ne verrebbe fuori una fiction serale in due puntate.
Se volete fare del male a qualcuno per Natale, sappiate che questo libro è il regalo adatto da fare trovare sotto l’albero (finto e triste).

Agostina Passantino





Il buio e la luce. La mia vita e i miei film

William Friedkin, Il buio e la luce. La mia vita e i miei film, Milano, Bompiani, 2013, 558 pp., ISBN 9788845274442.

"Mi vuoi bene? Ti fidi di me?" - due domande che William Friedkin ha rivolto più volte a quegli attori che lo deludevano ciak dopo ciak. Esaurita la pazienza, Friedkin li chiamava, rivolgendo loro i due quesiti. Quelli che rispondevano positivamente venivano subito portati nella condizione artistica richiesta dal regista. Come faceva a convincerli in una manciata di secondi? Semplice: con un ceffone del tutto inaspettato. Uno schiaffo che li riportava indietro nel tempo, tirando fuori prima la vulnerabilità e poi la forza e riuscendo a finalmente a metterli "a fuoco".
I registi degli anni Settanta... non ce ne sono più così. Sono stati loro gli ultimi grandi autori selvaggi. Quelli pronti a sporcarsi le mani e combattere ogni battaglia contro nemici o anche amici, perfino disposti a uscire un po' di testa. Tutto pur di beneficiare la loro creazione. Bastano le prime venti pagine per capire che Il buio e la luce - autobiografia di William Friedkin - è uno dei libri dell'anno. Cinquecento pagine di puro piacere narrativo: la descrizione dell'ultimo periodo coraggioso del cinema made in USA, quello dal retrogusto amaro che fu oscurato poco dopo con l'arrivo dei sognatori hollywoodiani.
L'inizio della fine, è questo che il settantottenne Friedkin racconta, invitando il lettore alla scoperta del suo ego smisurato, quello di una persona tutt'altro che semplice, un uomo in grado di essere disgustoso e un minuto dopo adorabile. E viceversa. Uno che ha cominciato la sua carriera con un documentario che ha inchiodato l'opinione pubblica, salvando la vita a un condannato a morte per mancanza di prove schiaccianti. E che trent'anni dopo non ha avuto paura di affermare il suo supporto verso la pena capitale. Lo stesso uomo che ha diretto alcuni dei film più memorabili della storia del cinema: dal poliziotto fascistoide de Il braccio violento della legge (che trionfò agli Oscar) alla bambina posseduta la cui testa è in grado di ruotare a 360 gradi nel film più terrificante della storia del cinema.
Sono proprio i capitoli dedicati a L'esorcista la parte culminante del libro. L'amore a prima lettura del romanzo di William Peter Blatty e il successivo rapporto scontroso con quest'ultimo. La manipolazione dei produttori hollywoodiani con scenate estreme, e la profonda convinzione che non si tratti di un film horror sovrannaturale. Piuttosto una riflessione sull'esistenza del male.
Le chicche non mancano: dal primo provino con una Linda Blair più avanti mentalmente rispetto alla giovanissima età, ai dubbi artistici di Max Von Sydow, totalmente nel pallone prima di girare la scena madre. Peccato che Friedkin non menzioni i colpi di pistola sparati in aria sul set, allo scopo di terrorizzare gli attori all'improvviso. Forse è questo l'unico rammarico del libro, che il regista da una parte si avventuri verso la luce del titolo italiano, quella della determinazione e ossessione che lo hanno portato al suo status di grande autore, peccato però che a volte tralasci aspetti il "buio" della sua persona. Per fortuna questo non succede troppo.
Se al braccio violento della legge e all'esorcista sono dedicati la maggior parte dei capitoli, è forse la parte su Il salario della paura la più interessante. Quella scritta con più sofferenza, perché si tratta del film a cui tiene di più, lo stesso che gli rovinò la carriera. Quel remake di Vite Vendute di Clouzot. che scelse di dirigere all'indomani dell'esorcista - l'epoca in cui Friedkin aveva in pugno l'intera industria cinematografica statunitense - e che fu marchiato dalla critica come noioso e superficiale Lo sforzo creativo era stato enorme, ma bastarono un paio di righe su un quotidiano a calare la ghigliottina. Era la fine di un'epoca. Era arrivato Star Wars e il cinema non sarebbe più stato lo stesso: invece che avventurarsi ed esplorare l'oscurità, si mise a sognare con Spielberg e gli altri.
Friedkin non è certo un sognatore, piuttosto uno che con la sua macchina da presa riesce a portare avanti un discorso sull'esplorazione dell'identità filmando il punto in cui l'uomo può spingersi concretizzando i propri incubi. Ne vorremmo sapere molto di più, ma è inevitabile che il regista abbia dovuto fare delle scelte editoriali e ridurre a poche pagine i racconti sui suoi film "minori" – che poi minori non sono - (tra tutti Basta vincere o Cruising). Oltre cinquecento pagine che inchiodano gli amanti del cinema e portano a termine lo scopo ultimo di questo viaggio letterario: andare al più presto a recuperare i suoi film perduti o riscoprire e re-innamorarci di quelli che conosciamo già.


Pierpaolo Festa