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mercoledì 5 febbraio 2014

Momenti e problemi di storia politica in Sicilia 1944-1953

Sebastiano M. Finocchiaro, Momenti e problemi di storia politica in Sicilia 1944-1953, Palermo, Istituto Poligrafico Europeo, 2011, 268 pp., (Saggi, 1), ISBN 978-88-96251-22-5.

Il secondo dopoguerra è un momento di transizione, che porta con sé una miriade di questioni riguardanti problemi di natura politica, istituzionale, economica e sociale.
Rispetto alla storia italiana ed europea, la Sicilia presenta nello stesso periodo momenti e problemi in parte differenti e peculiari. Non starò qui a dire quali furono le conseguenze del 1943 per la Sicilia e per l'Italia – poiché questo spazio non me lo permette – tuttavia, era doverosa questa premessa per parlare del libro di Sebastiano Maurizio Finocchiaro, dottore di ricerca in Storia contemporanea.
Il "lungo dopoguerra" siciliano è conseguenza dello sbarco in Sicilia del 1943 e del "mondo nuovo" che si delinea dopo la sconfitta del nazifascismo, sebbene il libro – edito dall'Istituto Poligrafico Europeo, in collaborazione con l'Istituto Gramsci Siciliano – prenda in esame i fatti accaduti tra il 1944 e il 1953.
Il volume, che si compone di quattro saggi, affronta e analizza gli aspetti della politica siciliana e nazionale in Sicilia, dall'attuazione delle norme per l'ammasso granario, ai risultati politici delle elezioni regionali del 1946 e politiche del 1948, dallo scontro e dall'intervento liberticida dei prefetti siciliani a danno della militanza socialcomunista, fino al fallimento del meccanismo elettorale previsto dalla cosiddetta "legge truffa" del 1953.
Il primo saggio, Il Partito comunista e gli ammassi granari 1944-1947. Questione alimentare, ordine pubblico e unità antifascista [pp. 11-79], affronta la questione del fallimento della politica dell'ammasso granario, volta a fronteggiare la scarsità di generi alimentari per la popolazione affamata dalla penuria generata dal conflitto. Immediatamente dopo lo sbarco e successivamente all'11 febbraio 1944 – quando la Sicilia tornò sotto l'amministrazione italiana – fu mantenuta «la legislazione vincolistica sui cereali, risalente al 1936» [p. 13], con qualche piccola integrazione e l'istituzione delle Commissioni di controllo per vigilare sulle strutture annonarie comunali. L'ordine pubblico era uno dei motivi che mantenne in vigore il sistema annonario. Ciò fu alla base di un duro scontro politico a livello regionale e locale tra i partiti del CLN (sebbene nei comitati di controllo fossero i comunisti quelli più attivi, mentre andava maturando una posizione di distacco della DC isolana) e i separatisti. Non mancarono fatti delittuosi, come l'assassinio del comunista casteldaccese Andrea Raia (e non Francesco, come erroneamente scrive l'autore) il 5 agosto del 1944, membro della commissione di controllo.
I "granai del popolo" furono, pertanto, un esperimento di difficile convivenza nella stessa maggioranza del CLN (non bisogna dimenticare che i decreti e le norme in materia agraria erano emanati dal governo di unità nazionale: il ministro dell'agricoltura era il comunista Fausto Gullo), ma anche l'emergere di un asse politico-agrario in grado di condizionare la politica locale, che ebbe, nel Separatismo prima e negli ambienti conservatori e di destra della DC, i suoi appoggi.
Il secondo saggio, Bandiere e pistole. Due paesi siciliani nelle amministrative del 1946 [pp. 81-126], è un interessante lavoro che prende in esame il clima politico nei paesi di Ravanusa (AG) e Riesi (CL). Un appuntamento elettorale rilevante, poiché per la prima volta le donne fecero il loro ingresso nella scena politica. Tuttavia, il lavoro si sofferma su due fatti, quello dell'affissione di vessilli comunisti in un campanile conteso dalla chiesa e dal comune di Ravanusa – cui è dedicata l'Appendice - I fatti di Ravanusa [pp. 243-250] – e quello dell'uccisione di un militante politico di Riesi. Nel primo caso si evidenzia, oltre ai disordini, l'intervento deciso delle gerarchie ecclesiastiche in funzione anticomunista (elemento importante anche dei saggi a seguire). Il secondo caso riguarda l'omicidio di Giuseppe Lo Grasso, democristiano, nel corso di un comizio e dei disordini che caratterizzarono la tornata elettorale e i giorni successivi allo spoglio.
Il terzo e il quarto saggio, Catania, 1949: la petizione contro il Patto Atlantico. Apparato statale e diritti costituzionali agli albori della "democrazia protetta" [pp. 127-157] e "Difesa democratica", anticomunismo e "legge truffa": un contributo alla storia del centrismo. Istituzioni, Chiesa, partiti e lotta politica nella campagna elettorale del 1953 [pp. 159-242], nonostante affrontino due momenti e degli argomenti diversi del "lungo dopoguerra" – come l'approvazione del Patto Atlantico e l'opposizione dei partiti di sinistra, la campagna elettorale del 1953, il ruolo della Chiesa e lo scontro nell'assemblea Regionale Siciliana – hanno in comune il tema della "democrazia protetta", o se vogliamo dell'effimera proclamazione dei principi democratici e liberali sanciti dalla neonata Costituzione.
Il terzo saggio prende le mosse dall'adesione dell'Italia all'alleanza atlantica e dalla mobilitazione dei partiti di sinistra per una raccolta firme contro la ratifica del trattato internazionale. Tale mobilitazione fu in Sicilia particolarmente perseguitata dai prefetti, se non repressa dalle forze di polizia. Il caso di Catania è esplicativo, non solo per l'atteggiamento in senso anticomunista degli apparati dello stato e delle angherie occorse ai militanti di sinistra, ma anche e soprattutto per l'offesa rivolta alla Costituzione italiana e in particolare all'articolo 21, con il mantenimento e l'applicazione del Testo Unico di Pubblica Sicurezza del 1931.
Il quarto saggio è quello che merita sicuramente più attenzione, giacché pone la lente su diversi aspetti che sono sì caratterizzanti la politica italiana degli anni a cavallo tra i Quaranta e i Cinquanta, e che in Sicilia sono garanzia del mantenimento al potere di una solida élite basata sull'alleanza Chiesa-Latifondo-Centrodestra.
Oggi non sappiamo per chi votò Caterina Pipitone, ma sappiamo con quanto zelo prefetti, vescovi – tra cui l'arcivescovo di Palermo, Ernesto Ruffini: sì, proprio colui che diceva che il male della Sicilia erano i comunisti, il Gattopardo e Danilo Dolci – e preti s'impegnarono in politica con un esplicito intento anticomunista.
Non solo la Costituzione, ma anche lo Statuto Siciliano viene fuori "sfregiato" dalla linea politica assunta dalla DC, che ne condiziona la piena attuazione: «per il Comitato regionale comunista il connubio fra lo scudo crociato e il Movimento sociale era ben più di una contingenza tattica o di una occasionale convergenza limitata a qualche amministrazione locale; esso tratteggiava invece una linea di continuità con il ventennio fascista, che avrebbe potuto prolungarsi nel futuro attraverso il progressivo smantellamento e poi la cancellazione della Costituzione e dello Statuto autonomistico siciliano; uno Statuto già largamente rimaneggiato dalla mancata attuazione di alcuni suoi punti essenziali, come la soppressione delle Prefetture, sulla quale la DC, dopo i solenni impegni assunti sin dal 1947, aveva fatto precipitosamente marcia indietro, riportando il popolo isolano sotto il 'tallone ferrato del vecchio Stato accentratore', che proprio fidando sugli esorbitanti poteri dei prefetti perseverava nella cieca repressione delle lotte popolari» [pp. 216-7].
Sono del resto gli anni successivi al 1948, gli anni del puro e duro maccartismo e della terribile Claire Booth Luce, ambasciatrice americana a Roma, tanto potente da riuscire a togliere le commesse al cantiere navale di Palermo, perché a maggioranza di operai iscritti alla CGIL. E furono anche gli anni dell'insolenza politica dell'allora ministro degli Interni, il famigerato Scelba, in cui «l'attività di centinaia di migliaia di militanti politici fu ingabbiata in una miriade di divieti, impedita dall'uso della coercizione fisica e dei provvedimenti preventivi, lastricata di pene pecuniarie e detentive per le quali un gran numero di attivisti pagò il proprio tributo a una deriva autoritaria nel cui alveo, dietro l'evanescente paravento della 'difesa democratica' e dell'equidistanza dagli 'opposti estremismi', si consumava la quotidiana elusione, se non l'eversione, della Costituzione repubblicana, per mezzo di una prassi preventivo-repressiva orientata in senso nettamente (e quasi esclusivamente) anticomunista, supportata per un verso da un vieppiù affermantesi 'oltranzismo atlantico', e per l'altro dagli apocalittici pronunciamenti delle gerarchie cattoliche» [p. 182].
E, se solo una manciata di voti non permise di far scattare il premio di maggioranza della "legge truffa" alle elezioni del '53 (cosa che avrebbe dato la possibilità alla maggioranza di attuare modifiche costituzionali), e non furono approvate le leggi eccezionali che davano ai prefetti poteri speciali e limitavano rigidamente l'applicazione delle garanzie costituzionali, rimane tuttavia nella storia d'Italia e di Sicilia uno scenario politico condizionato da forze esterne alla politica, se si tengono in considerazione la mafia, la Chiesa e gli americani.
Momenti e problemi di storia politica in Sicilia 1944-1953 è un ottimo libro, poiché comprende quattro saggi, i quali si contraddistinguono per un notevole lavoro storiografico basato su fonti di archivio e su testimonianze (quotidiani principalmente) dell'epoca.
Se una critica si può muovere a questo libro, è quella della mancanza di uno strumento per la lettura delle note, infatti, l'elenco delle Fonti [p. 257] non permette di sciogliere tutte le sigle che indicano i fondi d'archivio consultati. Questa è, in fondo, un'osservazione di poco conto nell'economia complessiva del libro, che è corredato da un'ottima ed esaustiva Bibliografia [pp. 251-256] e dall'Indice dei nomi [pp. 258-264].


Piero Canale


Dono dell'editore

2 commenti:

  1. Solo perche' l'ha scritto il "prof" finocchiaro non lo comprero' mai. Preferisco leggere topolino. Persona dubbia e ambigua allo stesso tempo.

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  2. I commenti anonimi lasciano il tempo che trovano.

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