Visualizzazioni totali

giovedì 5 febbraio 2015

Splendore

Margaret Mazzantini, Splendore, Milano, Mondadori, 2013, 309 pp., ISBN 978-88-04-63808-7.

Chi ha amato almeno una volta nella vita, sa come possa essere devastante non poter vivere liberamente il proprio sentimento, specialmente se ad ostacolarlo sono le convenzioni, i sensi di colpa, le paure e la vergogna. E se – dopo una vita trascorsa nella finzione, nel tentativo di voltare pagina e indossare la maschera della “normalità” – si è quasi a un passo dal raggiungimento di quella unione tanto agognata quanto sofferta e qualcuno decide di portartela via con brutale violenza e atroce crudeltà, il dolore può diventare davvero insopportabile. Questa è, in sintesi, la storia d’amore di Guido e Costantino uniti da quello stesso sentimento viscerale che, al contempo, li divide e li trascina lontani in una vita che – nonostante tutto – riesce sempre a farli rincontrare.
Guido conosce Costantino da bambino e lo respinge sin da subito, forse conscio di quella strana attrazione che lo lega a lui e che lo spaventa. Lo tratta male, lo evita, cerca di sfuggire a quel sentimento che si fa sempre più forte e travolgente. Costantino, invece, non scappa è determinato, sa cosa vuole e fa di tutto per ottenerlo. Ma crescendo i ruoli si invertono. Guido non ha più paura, vuole vivere pienamente il suo amore, non gli importano i giudizi ed è pronto a mollare tutto per coronare quel sogno, proprio quando Costantino, talmente gravato dall’enorme peso dei pregiudizi, dall’angosciosa vergogna, dal dolore e dalla violenza subiti, crederà che solo la fede cristiana può salvarlo dalla dannazione di quell’amore impossibile e ad essa si abbandona, convinto che sia quello l’unico modo che ha per “guarire” definitivamente. I due protagonisti muoiono e rinascono tante volte all’interno della storia. La loro sofferenza è, in definitiva, quella di ogni essere umano di fronte ai limiti che impediscono di oltrepassare l’immediato.
Splendore non è soltanto la storia di un amore omosessuale, vissuto in modo assai diverso dai due protagonisti. Splendore è anche il romanzo di una vita, del passaggio dalla giovane età alla vecchiaia; dei cambiamenti anche fisici; dei rapporti con i genitori e, più in generale, con la famiglia. È un libro sui sogni e sulle aspettative; sugli errori e i rimpianti; sulla genitorialità; sul rispetto e la speranza. Insomma un libro sulla vita, a tratti commovente e drammatico, forte e amaro ma ben scritto – come la Mazzantini è solita fare nei suoi romanzi – curato e attento.
È difficile affrontare il tema dell’amore omosessuale – anche se chi scrive deve forzarsi non poco per affibbiare all’amore un’etichetta – senza cadere nella retorica da bar, nelle frasi di rito, nel sentimentalismo banale e pruriginoso. Eppure l’autrice riesce a raccontarci questa straziante e appassionante storia – durata tutta una vita – con una delicatezza e una sensibilità sublimi, senza inciampare mai nei luoghi comuni e nelle frasi fatte di cui, francamente, non si sente più alcun bisogno.
Un libro da leggere tutto d’un fiato. Bello e intenso. Vero.


Alessandra Mangano



Black Jesus

Federico Buffa, Black Jesus. The Anthology, Milano, Edizioni Libreria dello Sport, 2009, 223 pp. (Collana Tullio), ISBN 978-88-6127-023-7.

L’Italia, si sa, è famosa per il buon cibo, le belle donne, la moda ed il calcio. Milioni di appassionati trascorrono la domenica incollati al teleschermo o appollaiati sui seggiolini degli spalti di qualche stadio ad ammirare le prodezze degli ipermilionari atleti. Da un po’ di tempo, però, gli italiani stanno cominciando ad apprezzare un altro sport, grazie alla fortissima influenza culturale a stelle e strisce: il basket (o pallacanestro, che dir si voglia).
Questo interessante volume è un must per chi vuole conoscere gli aspetti meno noti del basket americano, o semplicemente, vuole rilassarsi leggendo le erudite evoluzioni linguistiche dell’autore, Federico Buffa. Anche noto con il soprannome di “Avvocato”, Buffa è un giornalista, nonché telecronista sportivo italiano, conosciuto per la sua grande verve e per la sua abilità retorica. Tra le pagine di questo libro sentiremo parlare non solo di NBA e di coloro che “ce l’hanno fatta” (coloro che sono riusciti a diventare professionisti nella massima serie americana di pallacanestro), ma anche dei campetti in cemento dei sobborghi d’oltreoceano, dove, per farti rispettare, devi sgomitare, fare a spallate e provare a resistere al più violento dei falli. Leggeremo le storie di Earl Manigault o di Ronnie Fields e della sua straordinaria capacità nell’elevazione, tanto che sembrava planare verso canestro; di Lamar Odom o del rissoso Ron Artest, e ancora di quel “serbatoio” di campioni che è la Oak Hill Accademy.
Una lettura veramente piacevole, quindi, per chiunque voglia aprirsi nuovi orizzonti sportivi, e non rimanere chiuso nel tradizionale e classico undici contro undici tricolore.

Vincenzo Bagnera





Invito al castello

Emma Darcy, Invito al castello, Milano, Harlequin Mondadori, 2003, 156 pp.

Invito al castello: un libro che dovrebbe essere presente sui comodini di ogni donna in carriera – o anche sotto, per evitare che traballino per eventuali dislivelli –; un libro che ogni uomo eterno giovinetto, amante della libertà, scapolo incallito, dovrebbe adottare come manuale, così le probabilità di crescita e maturazione si azzerano.
Troppo sarcastica! Ricominciamo:
Invito al castello della Harmony, collezione Amore per sempre, di Emma Darcy, è un libro che non avrei mai acquistato, cosa che non dovrei ammettere, perché un lucido lettore deve essere in grado di leggere ogni tipo di libro, senza pregiudizi o limiti mentali; eppure è così. Ora vi racconto come è andata.
Persa una scommessa, di cui non sto qui a scrivere per non tediare i lettori, come penitenza mi fu dato in consegna – anzi regalato – proprio questo libro, con prece di leggerlo e recensirlo. Ho dunque colto l’invito alla lettura, perché una promessa è sempre una promessa e va mantenuta (anche se con due anni di ritardo).
Poco o nulla sappiamo dell’autrice, Emma Darcy, scrittrice australiana, sposata, con tre figli, dalla vita caratterizzata da tanti colpi di scena, esattamente come succede ai protagonisti dei suoi romanzi. Tutt’oggi sappiamo che abita in una bella fattoria nel Galles.
La trama si risolve in un paio di battute: lui è ricco, lei una disadattata. Si incontrano per caso. Si amano platonicamente, ma non se lo confessano.Tutto si risolve nell’eterno Amore. Lineare e da tipico plot delle commedie romantiche che trasmettono in tv, nelle calde sere di agosto, per il ciclo L’Amore è tutto rose e fiori.
La presentazione dei personaggi si limita ai due principali, Nicole e Matt, ed a quello della nonna Isabella; nonna invadente e manipolatrice, presentata come la matriarca salva-famiglia.
Il resto del libro è occupato dalle vicende di Nicole, giovane scrittrice, invitata da Isabella a scrivere la storia della sua famiglia. In realtà l’invito era premeditato da donna Isabella, desiderosa di far conoscere la giovane scrittrice a Matt, nipote minore ed unico ad essere rimasto scapolo. L’esca è pronta. Come per i precedenti nipoti, fatti accasare con matrimoni combinati e fatti passare per loro libero arbitrio, così per Matt, Isabella ha pronto su di un piatto d’argento un matrimonio perfetto con Nicole.
Matt nota subito Nicole, leggiadra fanciulla dai capelli rosso fiammeggianti, figlia di un artista jazz, morto anzitempo e di cui lei aveva scritto la biografia; ma, come da cliché, Matt è un uomo burbero e scostante, che non si abbandona a semplici moine o corteggiamenti sfacciati. Tutto deve essere sottointeso; e Nicole non sottintende un bel niente!
Il resto del libro riguarda questo sfuggente odio/amore dei due, trascinato fino al verosimile, altrimenti, come dovrebbe andare avanti la storia?
Dopo una sfilza di luoghi comuni e ovvietà, che rendono l’amore tra i due l’unico vero problema dell’intero universo, la precaria intesa che si era venuta a creare sembra compromessa, e tutto ciò a pagina149 di 155 complessive.
Non potrà risolversi tutto nelle poche rimanenti pagine - è quello che ho pensato.
Ed invece, et voilat, tutto al suo posto! I due si dichiarano il loro incontrastato e puro amore, si sposano e vivono felici, con Isabella compiacente.
Questo è quanto ci si guadagna a non dire subito come stanno le cose. Male che vada ci si rende conto di avere travisato un sentimento altrui, ma almeno non si prolunga un dubbio per 149 pagine, per poi scoprire la reciprocità del sentimento; neppure fossero stati due adolescenti compagni di classe.
La spiccia risoluzione conclude il libro, senza fare realmente intuire se le nozze siano scaturite da un loro sincero amore, o dall’arguta manipolazione di Isabella. Entusiasmo passeggero che li ha travolti in un vortice di passione destinato a finire, o vero Amore, unico e gentile?
Non lo sapremo mai, a meno di un secondo invito al castello, ma in questo caso l’invitata non sarebbe Nicole, che ormai ci vive con Isabella.


Agostina Passantino



Ingannare il tempo

Mentre siamo lì ad aspettare l'autobus, Testa di mela dà fiato al suo sfintere orale:
“Che ne pensi di questa cosa dei marziani?”
Ora, di questa cosa dei marziani io non ne so niente, quindi gli chiedo:
“Di quali marziani parli?”
“Di quelli che battugliano la terra. Tutto il tempo in giro a battugliare la nostra terra”
“Capisco: dunque tu sei convinto che ci sono questi tipi verdi, con le loro supertecnologie tipo laser e astronavi, che partono da Marte – che manco l’acqua ci hanno trovato – per venire qua a … come dicevi?”
“A battugliare la terra”
“A pattugliare la terra, certo. Secondo te funziona così …”
Si gratta quella testa di mela glassata di brillantina, si strofina la mano sui jeans, ci pensa un attimo e mi fa:
“Io non ho detto che sono verdi, e manco che vengono da Marte”
“Come no? I marziani vengono da Marte, scemo, i saturnini da saturno, i venerei dalle fighe delle puttane...”
Ride. Non che l’abbia colta, almeno credo: basta il turpiloquio a farlo sganasciare.
“Ma no, ma no, dicevo marziani in senso generale!”
Glielo spiego:
“Si dice alieni o extraterrestri o esseri venuti dallo spazio”
“Gli esseri venuti dallo spazio”, mi fa, “hanno queste supertecnologie spaziali, come hai detto tu, no?, e si muovono un sacco in poco tempo, no?, e tu manco li vedi perché viaggiano alla vlshllalsh...”
“Che hai detto?”
Il fatto è che, mentre esponeva l’ultima parte del suo ragionamento, si strofinava una manica davanti alla bocca, sotto il naso ad essere precisi, per togliere il moccio che ne colava – che fa la stessa fine della brillantina – e quindi ciò che ha detto mi è giunto parecchio confuso.
“Allora”, mi fa, “questi vanno alla  velocità della luce e quindi sono molto veloci, tipo la lampadina, no?”
“Veloci quanto una lampadina?”
“Sì, cioè no, cioè: veloci quanto ci sta la lampadina ad accendersi dal momento in cui tu premi il pulsante”
“Ah!”
Stupefacente davvero: come ha fatto a esprimere un concetto così complicato? Il discorso rischia di prendere una bella piega…
“Lo capisci, quindi, no?, questi girano alla velocità della luce e tu non puoi vederli, nessuno può vederli, solo loro si autovedono perché sanno come fare!”
“Capisco”
“Poi si fermano un attimo dove sanno che nessuno li osserva, che è importante perché se li vedono magari succede un casino, no?, e studiano quello che fanno i  tizi sotto di loro - che saremmo noi! Ogni tanto, però, c’è un turista o un giornalista con la videocamera o uno che di solito fa il palo o un figlio di puttana fortunato, no?, e allora becca la navicella, che si chiama ufo, che allora vola via, veloce come un lampo, per non farsi idenficare, e allora nessuno sa più se c’era o non c’era. O meglio: lo sa, ma vallo a provare. Poi, perché ogni tanto si fermano, questo non lo so: alcuni dicono che rapiscono le persone, ma secondo me no, ci ho pensato un bel po’, e  penso che sia perché alla velocità della luce non vedrebbero un cazzo, no?, e allora sarebbero venuti senza motivo…”
“Ma hai detto che si autovedono
“Sì, ma loro stessi”
“Ah…”
“Eh!”
Ora, io non ci metterei la mano sul fuoco su quello che dice Testa di mela: è lo stesso che diceva che se un cavallo si chiama Donato non gli devi guardare in bocca o ti morde la faccia; e che, a proposito di bocche, se vieni dentro quella di una e lei ingoia, è probabile rimanga incinta. In merito agli alieni mi pare ferrato, però, quindi gli chiedo:
“Spiegami una cosa: perché questi curiosano tra i cazzi nostri? E perché stanno sempre in giro e non vengono mai giù?”
“Perché…”
“No, no, aspetta: cioè, perché questi con le loro supertecnologie non vengono a farci il culo e non si prendono questo mondo pieno di teste di cazzo come te o me che ti do retta?”
“Anche su questo ho riflettuto: diciamo che loro aspettano. Aspettano e aspettano, no?, e lo sai, quando aspetti troppo va a finire che poi ti piace aspettare; tipo quando devi conoscere una, ché hai paura che poi sia una frana… Lo stesso loro: se arrivano e qui non gli piace? Che fanno se arrivano e qui non gli piace? Se ne tornano a casa? Che gli vanno a dire ai loro amici? Che qui è una merda? Pensaci: tu torni da una vacanza che aspettavi da mesi e tutti lo sanno quanto l'aspettavi e dici L’albergo era una merda il mare un cesso c’erano solo vecchi che puzzavano di piscio? No: sei costretto a mentire. Cioè, loro non l’hanno ancora capito se ne vale la pena, no?, aspettano ancora di capirlo. Magari hanno pure preso accordi con qualcuno, tipo il papa o la cia o Putin, che ne so, mica te lo vengono a dire… Oppure manco questo: semplicemente aspettano e nel frattempo si raccontano storie su storie su di noi, ovviamente nella loro lingua, storie che fanno piangere o ridere o cacare: almeno c'ingannano il tempo, no?”
C'ingannano il tempo...
Sto per aprire bocca e dire non ricordo cosa, ma l'autobus arriva. Mi alzo e, senza manco salutarlo, salgo a bordo.


Dan Skorsky

Inés dell’anima mia

Isabel Allende, Inés dell’anima mia, Milano, Feltrinelli, 2013, 326 pp., ISBN 978-88-07-88369-9.

Di Isabel Allende si parla sempre con rispetto sin dalla sua folgorante opera prima, La casa degli spiriti, affresco di una delle pagine più dolorose della storia civile del Cile contemporaneo.  Venticinque anni dopo, in questa opera, la scrittrice affronta nuovamente molti dei temi che resero così particolare e unico il primo romanzo: la grande narrazione della nascita di una nazione, un quadro storico – stavolta è il xvi secolo – molto accurato, una figura di donna forte e catalizzante. Inés Suarez è un'eroina che dall’Estremadura attraversa l’universo mondo allora conosciuto, avventurandosi per gli oceani, alla conquista del Nuovo Mondo, spinta dall’amore e dalla sete di avventura. Irrefrenabile personaggio, ha spinto la Allende a una lunga indagine documentaria, perché su di lei poco si parlava, pochissimo si sapeva e molto si favoleggiava. In una intervista del 2008 Isabel Allende dichiarava: «È una guerriera, una donna che lotta e ottiene ciò che vuole. Ottiene prima di tutto l'amore, ottiene la terra, poi ottiene il potere, e finalmente ottiene, per trent'anni, l'amore di un altro uomo. Per me, è una donna con una vita straordinaria, una vita che mi sarebbe piaciuto vivere».
Narrato in prima persona, il testo ha pochi discorsi diretti, e può risultare per questo poco veloce e ritmato; rispetto a La casa degli spiriti, manca quell’alone sovrannaturale che tanto caratterizza la letteratura sudamericana degli anni ’80 (Amado, García Márquez). Manca anche il coinvolgimento politico della scrittrice, che stavolta narra un’epica. Tuttavia c’è un nuovo popolo che cresce, sangue che si versa, foreste che si sventrano, indigeni che (forse) sono domati, e c’è soprattutto una donna consapevole della propria forza e di ciò che questo le comporta: «La tempra è una virtù che è apprezzata negli uomini, ma che si considera un difetto nel nostro sesso. Le donne con una forte tempra mettono in pericolo l’equilibrio del mondo, che pende dalla parte degli uomini, i quali provano gusto a vessarle e distruggerle» [p. 262]. Il libro, a mostra della sua accuratezza storica, ha uno sviluppo di capitoli in ordine cronologico: dopo la Nota dell’autrice [p. 5], i capitoli Europa 1500-1537 [pp. 11-649]; America 1537-1541 [pp. 65-118]; Verso il Cile 1540-1541 [pp. 119-160]; Santiago della Nuova Estremadura 1541-1543 [pp. 161-208]; Gli anni tragici 1543-1549 [pp. 209254]; La guerra del Cile 1549-1553 [pp. 255-308]. In chiusura Ringraziamenti [p. 309] e Appunti bibliografici [pp. 311-312].

Eloisia Tiziana Sparacino



Il giardino dei Finzi-Contini

Giorgio Bassani, Il giardino dei Finzi-Contini, Milano, Mondadori, 1976, 350 pp.

Il giardino dei Finzi-Contini è un libro sorprendente, di cui non posso che consigliare la lettura.  La storia è ambientata nella comunità ebraica della città di Ferrara, in piena epoca fascista. Ma i temi legati all'olocausto, alle leggi razziali e alle persecuzioni attuate dal regime, pur presenti, restano sullo sfondo. Quello di Giorgio Bassani è, come affermato da ben più illustri recensori, “uno straordinario romanzo d'amore”. Bassani riesce, in maniera mirabile, a sviscerare – cogliendo anche le più sottili sfumature – tutti i tormenti e le agitazioni, le dolci aspettative, repentinamente mutatesi in amare disillusioni, dell'amore non corrisposto di un uomo per una donna. La narrazione, sotto forma di racconto fatto al lettore dal protagonista, ripercorre nascita, crescita, apice e progressivo disfacimento di una storia d'amore che rimarrà solamente nei suoi desideri. Del narratore non viene mai fatto il nome; si tende ad identificarlo con lo stesso autore del romanzo, nonostante di ciò non vi sia mai stata conferma. Il suo sentimento per la coetanea Micòl, appartenente alla ricca famiglia dei Finzi-Contini, nasce nella prima infanzia. Gli ammiccamenti preadolescenziali negli sporadici incontri al tempio. Il primo dialogo, per sempre scolpito nella memoria di lui. Una più assidua frequentazione nell'età degli studi universitari ed una sempre maggiore confidenza raggiunta con le quotidiane partite a tennis nella magna domus dei Finzi-Contini (in seguito alla cacciata degli italiani di sangue ebraico dal circolo cittadino) condite da romantiche passeggiate a due. Il 'giardino' assurge a simbolo dei momenti più felici vissuti dal narratore insieme alla ragazza; come dei suoi sogni infranti. Il luogo in cui ciò che poteva essere, mai sarà.
Quello degli attimi non colti, delle parole non dette è uno dei temi portanti del romanzo. L'autore lo orchestra magistralmente in maniera da appassionare il lettore che, avendo magari vissuto situazioni simili, finirà per provare le medesime ansie e sofferenze del narratore. Gli sbalzi d'umore; il fatuo ritorno nei luoghi di una fugace ed illusoria felicità; gli attacchi di panico per il nuovo fatidico incontro; la stretta allo stomaco della gelosia; l'irruenza e l'ostinazione post rifiuto. Il susseguirsi degli stati d'animo e dei comportamenti del protagonista potrebbero considerarsi un vero e proprio manuale del mal d'amore.
Cuore pulsante del romanzo è lei, Micòl Finzi-Contini, definita «una delle figure più affascinanti e inafferrabili della letteratura italiana».[1] Piacente d'aspetto (Bassani non si dilunga mai in descrizioni fisiche), volubile e viziata ma allo stesso tempo sensibile ed affettuosa, piena di stranezze e bizzarrie, dotata di un carattere focoso, costantemente in bilico tra il timido ed il disinvolto. Certamente non lascia indifferenti i lettori. Consci del suo tragico destino, sin dall'inizio del romanzo sappiamo che la sua esistenza – come quella di gran parte della famiglia Finzi-Contini – terminerà in un campo di sterminio tedesco e siamo, forse, per questo più inclini a giustificare ed a perdonarle le sofferenze che il suo indecifrabile comportamento infligge al narratore. La mutevolezza di Micòl è, in definitiva, quella delle relazioni umane la cui aleatorietà è un'altra delle tematiche toccate nel romanzo.
Bassani tesse un complesso gioco delle parti tra le quattro persone che frequenteranno fino alla fine la dimora dei “Finzi-Contini”. Insieme al protagonista, ed a Micòl, vi sono il malaticcio ed apatico Alberto Finzi-Contini (quasi una versione in negativo fotografico della sorella minore) ed il burbero chimico Giampiero Malnate, amico di vecchia data di Alberto, nonché altro personaggio controverso e di difficile inquadratura. I rapporti esistenti tra loro non appaiono mai del tutto chiari e gli “schieramenti” iniziali saranno continuamente sovvertiti. Fino al malinconico finale in cui aleggerà il dubbio sul reale legame esistente tra Micòl e lo stesso Malnate.
La sensazione di dolce amarezza che il romanzo può lasciare è già da sola motivo valido per avventurarsi nelle sue pagine. E varcare – sotto lo sguardo vigile del portinaio tuttofare Perotti ed accompagnati dal gigantesco cane danese Jor, veri e propri testimoni silenziosi della storia – il cancello del 'giardino'. Potremo così scoprire che, nei giorni che resteranno tra i più bui della nostra storia, nei luoghi che ne furono testimoni, si poteva soffrire anche per amore. Quello più vero, intenso e, in quanto mai appagato, eterno.

Girolamo Accardi





[1] Così Marilyn Schneider nel saggio Dimensioni mitiche di Micòl Finzi-Contini in appendice al libro stesso.

Re Sole e lo Scoiattolo

Alessandra Necci, Re Sole e lo Scoiattolo. Nicolas Fouquet e la vendetta di Luigi xiv, Venezia, Marsilio, 2013, 440 pp. (Gli Specchi), ISBN 978-88-317-1564-5.

«Non sono pochi gli spazi in cui cercare luci e ombre del trascorso è necessario, forse anche inevitabile... tanto da far sorgere un dubbio: siamo noi a dover invocare il passato, per poterci realizzare completamente, o è il passato ad aver bisogno di noi per continuare a esistere?» [p. 17]
Nel Seicento due sono i processi che potrebbero definirsi del secolo: quello a Carlo i re d'Inghilterra e quello a Nicolas Fouquet. La vicenda di quest'ultimo però ha ottenuto nei secoli, ma già anche nei contemporanei, una forte risonanza, che oggi diremmo mediatica. Germi di opinione pubblica, li chiameremmo.
Il processo di Fouquet divise la Francia e la tenne in sospeso, fino a quando molte delle accuse montate caddero e la condanna a morte – come avrebbero voluto Re Sole e Necker – si allontanò dal destino del soprintendente.
Alessandra Necci ricostruisce nel libro le fasi salienti del processo intentato a Fouquet, sopraintendente delle finanze del Regno di Francia durante la reggenza del cardinale Mazzarino.
È inutile svelare i particolari del processo, anche perché ridurre il libro a una semplice disamina della vicenda giudiziaria, sarebbe uno sgarbo al valore di quest’opera. Infatti, il merito dell'autrice è quello di raccontare questa pagina di storia della Francia moderna, partendo dalle vite dei due protagonisti del libro: Luigi xiv – il Re Sole – e Fouquet, lo «Scoiattolo» in una forma dialettale francese.
Biografie di due uomini che si intrecciano e sembrano destinate a trovarsi, faccia a faccia, in un momento storico che segna, una volta per tutte, la storia francese: drammi dell'infanzia e della giovinezza, buone e cattive compagnie, incontri e scontri.
Il libro mette subito in chiaro che nello scontro tra i due, Fouquet non ha speranza. Lo Scoiattolo sarà schiacciato dal Sole. Eppure nonostante i presagi, la lettura scorre piacevole, così come è piacevole questa lente d'ingrandimento che si insinua tra i volà delle stoffe pregiate degli abiti dei nobili a corte, tra le pieghe delle lettere dei dossieurs del processo.
Chi ha avuto modo di apprezzare le meravigliose pagine che Dumas intitolò Il Visconte di Bragelonne, e che ha sognato e condiviso le gesta dei tre moschettieri e di D'Artagnan, avrà in più il piacere di ritrovare quest'ultimo, seppure come semplice comparsa, in una storia che vede più l'analisi della psiche, la trama nell'ombra e la barra di un tribunale, che i campi di battaglia.
L'autore riesce con maestria e impeccabile bravura a descrivere la Francia della seconda metà del Seicento e i suoi personaggi: la corte di Luigi xiv è una fotografia puntuale, precisa, con tutta la sua ipocrisia, i favori e gli amorazzi; gli angusti e atri ambienti della fortezza di Pinerolo – dove è rinchiuso Fouquet – sono cupe pagine nell'animo di chi legge; Vaux rimane un sogno munifico, un fiabesco reame incantato, abitato da creature magiche e in cui si consuma il dramma del soprintendente.
Questo testo di squisita lettura dimostra come si può fare storia senza dovere sacrificare la bella scrittura, nonostante l'intento appaia più quello di un romanzo che di un'esegesi storiografica.


Piero Canale



Il Fondo Librario Moncada Dell’Università di Palermo. Progetto d’intervento ricognitivo e diagnostico sulle edizioni del XVI secolo della collezione

Il primo nucleo dell’Università palermitana, come afferma Orazio Cancila nella sua Storia dell’Università di Palermo,[1] risale alla Reale Accademia degli Studi, fondata nel 1779 nelle sale dell’ex Collegio Massimo dei Gesuiti, cui viene affidata anche la direzione e vigilanza sulla “libreria”, sul museo e sulla stamperia dei Gesuiti. Nel 1805, con il ritorno dei Gesuiti in Sicilia, il re decide di restituire alla Compagnia di Gesù i propri locali con all’interno sia la biblioteca che il museo e la Reale Accademia che, trasformata in Università degli Studi, si sposta presso i Padri Teatini, nello storico palazzo, oggi sede della Facoltà di Giurisprudenza; la biblioteca conserverà nella sede gesuitica anche i libri acquistati dall’Accademia nel corso degli anni. L’intero patrimonio librario, comprensivo dei libri della Reale Accademia degli Studi, verrà poi incamerato dallo Stato il 4 novembre del 1860 divenendo il nucleo principale della nascente Biblioteca Nazionale di Palermo, oggi Biblioteca centrale della Regione siciliana. 
Privata di parte dell’antico patrimonio, la Biblioteca Universitaria si costituisce ufficialmente nel 1929:[2] inizia così un periodo d’arricchimento per i fondi bibliografici universitari grazie a nuovi acquisti e a un riassetto che mira a evidenziare raccolte e opere di maggior pregio portandole a diretto contatto con gli studiosi. Vari fondi e donazioni accrescono il patrimonio della biblioteca, quali il Fondo Bonucci (Storia delle Religioni) e il Fondo Genuardi (Storia del Diritto Italiano). Un fiore all’occhiello per le collezioni universitarie è il Fondo Castagna: circa 3800 volumi antichi, tra cui 4 incunaboli e 265 cinquecentine, conservato presso la Biblioteca Centrale della Facoltà di Lettere.
Proprio questa sede è stata individuata per custodire l’ultimo acquisto di pregevole valore effettuato dall’Università: il Fondo librario Moncada. Questa raccolta può essere considerata un tassello di fondamentale importanza dell’enorme “mosaico bibliografico” che costituisce i fondi antichi dell’Università di Palermo, soprattutto per la rarità e la connotazione prettamente siciliana. L’acquisizione di questa collezione bibliografica, omogenea e di grande interesse culturale, rappresenta un’eccezionale occasione di unicità per l’Istituzione. Come vedremo, il fondo mostra un’integrità di volumi che non possiede nessun’altra biblioteca. Come già l’Archivio di Stato di Palermo, anche l’Ateneo palermitano può oggi vantare il possesso di una preziosa documentazione – in questo caso bibliografica – appartenuta a uno dei più importanti casati siciliani.
I Moncada arrivano in Sicilia dalla Spagna alla fine del xiii secolo. Costruiscono un enorme patrimonio territoriale, fatto di città e di feudi, dall’Etna al centro della Sicilia, dalle terre di Bivona a Palermo, fino all’acquisizione di possedimenti in Calabria. A Guglielmo Raimondo, generale di Pietro d’Aragona, va il merito della prima investitura ai Moncada del feudo di Caltanissetta e di Paternò, nel 1282.[3] Una famiglia, quella dei Moncada, che ha un’ascesa velocissima e che, anche attraverso una serie di alleanze matrimoniali, costruisce il prestigio politico e le fortune economiche del casato. In Sicilia gode della protezione della Chiesa tanto che alcuni eredi nascono proprio all’interno dell’arcivescovado di Monreale, negli anni dell’arcivescovo letterato Ludovico ii de Torres. Le loro terre siciliane sono coltivate a grano, ma prospera anche l’industria della seta. Di particolare rilievo le figure femminili, da Aloisia a Giovanna La Cerda, a Caterina Moncada Aytona.[4]
In età rinascimentale i Moncada acquistano il Castello medievale di Pietrarossa a Caltanissetta, strategica fortezza di cui oggi è possibile vedere soltanto i ruderi. A metà Cinquecento si apre il periodo più fiorente per la famiglia: vengono costruiti il convento dei Cappuccini e quello dei Gesuiti, entrambi voluti da Aloisia Moncada, moglie di Cesare, e negli anni si succedono importanti figure quali Francesco i, Cesare e Francesco ii che accolgono a corte letterati, musici e pittori. In ogni città dei Moncada si costituisce una corte, da Palermo a Valencia, da Paternò a Caltanissetta, città in cui innalzano un palazzo imponente nel centro dell’abitato con eleganti fregi barocchi. Le corti sono affollate da artisti e protagonisti della cultura del tempo: Nicolò Buttafuoco dipinge il retablo di San Diego d’Alcalà, canonizzato nel 1588, e le storie della sua vita su committenza di donna Aloisia. Nello stesso anno la famiglia acquista il palazzo Ajutamicristo a Palermo. Una figura di grande spessore è quella di Luigi Guglielmo[5] che, avvalendosi di Pietro Novelli, nel xvii secolo dà un nuovo impulso architettonico alla città di Palermo. A lui si deve la progettazione di Porta Montalto, antica via d’accesso alla città, fatta erigere nel 1637 e demolita alla fine dell’800, e della Fieravecchia, oggi Piazza Rivoluzione. Anche Luigi Guglielmo, come già i suoi predecessori, accoglie a corte poeti e musici.
I Moncada, avendo una ricchezza immensa, raggiungono i vertici del potere e, dopo duecento anni di permanenza in Sicilia, si spostano anche in Spagna dove, fedeli alla monarchia si alleano con le grandi famiglie spagnole; a Valencia, a metà del 1600, Luigi Guglielmo diventa viceré.
Il patrimonio lasciato da questa famiglia, nella seconda metà del Settecento disgregatasi in vari rami, conta oltre ai palazzi, molti beni mobili, come tele, statue di legno, reliquiari, documenti archivistici e notevoli raccolte bibliografiche, testimonianze tutte di una tradizione d’importantissimo rilievo culturale.
La famiglia si scompone in vari rami: troviamo infatti i Conti di Caltanissetta, i Conti di Agosta, i Conti di Adernò, i Principi di Monforte e i Principi di Paternò. Il più importante ramo siciliano dei Moncada vanta illustri esponenti come Francesco Moncada, Giovanni Luigi, Corrado e Ugo Moncada di Paternò: quest’ultimo è l’anello di congiunzione con un altro antico casato siciliano, poiché sposa nel 1920 la principessa Giovanna Lanza Branciforti.
Nel 1941 i Moncada di Paternò confermano, alla Soprintendenza del Regio Archivio di Palermo, di possedere un archivio di famiglia regolarmente ordinato e composto di documenti dei secoli xv-xix riguardanti l’amministrazione di feudi e beni in possesso della famiglia. L’archivio risulta integro anche dopo i danni prodotti dalla guerra. Questo fondo si trovava a Palazzo Butera insieme all’archivio dei Lanza di Trabia e Branciforti di Butera: quest’ultimo, conservato oggi all’Archivio di Stato di Palermo, tra registri, buste e pergamene costituisce il più corposo archivio privato gentilizio della Sicilia. Vent’anni fa, precisamente nel settembre del 1992, anche l’archivio privato gentilizio dei principi Moncada di Paternò viene acquistato dall’Archivio di Stato di Palermo, dopo il parere positivo espresso da parte del Ministero dei Beni Culturali.
L’archivio Moncada di Paternò[6] è costituito da oltre 4000 documenti riguardanti l’amministrazione di feudi in Sicilia: lo stato e principato di Paternò, Adernò, Biancavilla, ma anche Caltabellotta, Caltanissetta, San Giovanni e Cammarata. La parte più cospicua dell’archivio è costituita da documenti di natura giudiziaria, possedimenti, passaggi di proprietà, e di natura contabile per l’amministrazione ordinaria e straordinaria dell’immenso patrimonio dei Moncada a partire dal secolo xv. Si rileva anche la presenza di tre buste contenenti 42 piante topografiche e vari disegni databili tra la fine del xviii e l’inizio del xix secolo che, trovandosi in pessimo stato di conservazione, sono state sottoposte a restauro conservativo presso il laboratorio dell’Archivio di Stato di Palermo. Si riporta di seguito un esempio di scheda elaborata al momento dell’acquisizione del fondo:
Cosimo Notar Pignato, architetto - Caltanissetta 15 luglio 1806.
Inchiostro e acquarello - cm 28 x 44
"Pianta geometrica di pian-terreno e di pian-nobile dello stato attuale delle pubbliche carceri aggregate alle fabbriche del palazzo dell’ecc.mo signor principe di Paternò che possiede in Caltanissetta".
Sul v.: "Pianta delle carceri di Caltanissetta n. 56".
"Scala di canne dieci siciliane".[7]
L’intera raccolta bibliografica era stata originariamente costituita dal Principe Lanza di Trabia e conservata a Palazzo Butera, a Palermo; successivamente da questa raccolta, inizialmente formata da circa 12.000 volumi, come si evince dall’inventario redatto dalla famiglia all’inizio del xx secolo in quattro volumi, è stato estratto il fondo siciliano offerto in vendita all’Università di Palermo nel 2008.
Dopo un’attenta lettura dell’inventario Moncada sono stati effettuati molteplici sopralluoghi per visionare i volumi, verificare l’importanza bibliografica della collezione, analizzarne la manifattura bibliologica e appurarne lo stato di conservazione.
La collezione è composta da:
n. 5 edizioni del xv secolo;
n. 37 edizioni del xvi secolo;
n. 147 edizioni del xvii secolo;
n. 361 edizioni del xviii secolo;
n. 909 edizioni del xix secolo;
n. 215 edizioni del xx secolo;
n. 85 edizioni senza data.
Totale: 1759 opere cui si aggiungono 30 periodici pubblicati tra xix e xx secolo.
Nel complesso lo stato di conservazione dei volumi risulta buono, in alcuni casi ottimo, mentre in altri discreto e in pochissimi casi pessimo. Non risultano in atto presenze di muffe mentre in pochi casi si rilevano tracce di vecchi attacchi entomatici e microrganismi vari.
Dalle ricerche effettuate nell’OPAC di SBN, in ISTC (Incunabula Short Title Catalogue) per gli incunaboli e in Edit 16 per le cinquecentine, è stato possibile rilevare le localizzazioni dei volumi all’interno delle biblioteche italiane, compresa la Biblioteca centrale della Regione siciliana e la Biblioteca Comunale di Palermo. Per alcune opere non presenti nei database italiani la ricerca è stata estesa ai cataloghi della British Library, Bibliothèque Nationale de France, Library of Congress di Washington, ecc.
La collezione Moncada raccoglie la migliore produzione editoriale sulla Sicilia tra il xvii e il xix secolo oggi disponibile. Risultano infatti presenti, tra i 1789 documenti di cui sopra, il seguente numero di edizioni siciliane:
n. 17 pubblicazioni del xvi secolo;
n. 144 pubblicazioni del xvii secolo;
n. 326 pubblicazioni del xviii secolo;
n. 802 pubblicazioni del xix secolo;
n. 197 pubblicazioni del xx secolo;
n. 30 periodici del xix e xx secolo.
La quasi totalità dei volumi risulta completa di tutte le pagine e tavole. Bisogna osservare come alcune opere quali il Voyage pittoresque ou Description des royames de Naples et Sicile di Jean-Claude Richard de Saint-Non, le Antichità siciliane spiegate colle notizie generali di questo Regno cui si comprende la storia particolare di quelle città di Giuseppe Maria Pancrazi, La reggia in trionfo per l’acclamazione, e la coronazione della sacra real maestà di Carlo Infante di Spagna, re di Sicilia… di Pietro La Placa – contenente la celebre tavola della cavalcata sul lungomare palermitano – risultino integre, contrariamente alle medesime copie possedute anche da altre biblioteche palermitane, mutile di diverse tavole.
Il fondo bibliografico abbraccia un arco temporale che va dal xv al xx secolo.
Edizioni del xv secolo
I 5 incunaboli, pubblicati tra il 1480 e il 1499, sono stati identificati utilizzando la base dati ISTC della British Library; si tratta di esemplari di pregevole fattura, che presentano, tuttavia, lacune di supporto e mancanza di carte o tavole. L’incunabolo più antico della raccolta è:
Phalaris, Epistolae [in italiano]. Trad. Bartolomeo Fonzio, [Francesco Bonaccorsi e Antonio di Francesco, Firenze, 17 maggio 1488].
Anche se in Sicilia non è censito nessun esemplare di quest’edizione di Francesco Bonaccorsi,[8] tipografo attivo a Firenze dal 1485, esso risulta posseduto da 12 biblioteche italiane.[9] Contiene una volgarizzazione delle Epistolae di Falaride. L’esemplare si presenta mutilo delle carte segnate a8 e f8, entrambe sostituite con carte manoscritte che integrano il testo mancante, e inoltre dell’ultimo fascicolo segnato [g]. La legatura originale in pergamena riporta autore e titolo manoscritti sul dorso del volume. Il corpo del testo conserva numerose note manoscritte e sottolineature del testo.
Edizioni del xvi secolo
Delle 37 edizioni del secolo xvi, che sono state oggetto di analisi bibliologica, 13 sono state pubblicate in Sicilia, in particolare 10 a Palermo, 2 a Messina e 1 a Catania e 7 sono di autori siciliani.
 Edizioni del secolo xvii
Questo nucleo è costituito da diverse edizioni dei più noti giuristi siciliani quali Ottavio Corsetto, Baldassarre Abruzzo, Antonio Virgilio, ecc. e da varie edizioni di Capitula, Constitutiones, Ordinationes del Regno di Sicilia. Numerose sono anche le opere di storia locale. Si segnala, per il particolare valore storico, l’opera:
Collurafi, Antonino. Le tumulazioni della plebe in Palermo, [Domenico D’Anselmo, Palermo 1651].
Erudito, storiografo ufficiale di Filippo iv, Antonino Collurafi (1585-1655),[10] membro dell’Accademia dei Riaccesi, trascorre la vita lontano dalla Sicilia dove torna in tarda età. Quest’opera, particolarmente rara, appena stampata fu proibita per decreto regio; gli esemplari esistenti mancano quasi tutti del frontespizio e del primo fascicolo.[11]
Edizioni del secolo xviii
È il nucleo di maggior pregio sia perché la tipografia nel ‘700 raggiunge, com’è noto, livelli qualitativi altissimi, sia perché le opere corredate da incisioni sono complete delle tavole, spesso assenti negli esemplari posseduti da altre biblioteche. Inoltre quasi tutti i volumi si presentano in ottime condizioni di conservazione. Tra le opere siciliane più significative e di maggior pregio si segnala:
Pancrazi, Giuseppe Maria. Antichità siciliane spiegate colle notizie generali di questo Regno cui si comprende la storia particolare di quelle città, nella Stamperia di Alessio Pellecchia, In Napoli 1751-1752, 2 vol., 44 c. di tavole incise.
I due volumi, con antiporte incise raffiguranti i ritratti di Carlo iii di Borbone e Maria Amalia, sono completi di tutte le incisioni. Coperta originale in pergamena. Macchie di foxing su alcune tavole.
Di eccezionale rilievo la presenza delle opere dell’abate maltese Giuseppe Vella (1749-1815), ideatore della famosa “arabica impostura”.[12] L’abate Vella, trasferitosi a Palermo nel 1780, “traduce” due codici in lingua araba alterandone il contenuto. Sostenuto dallo storiografo Giovanni Evangelista Di Blasi e da monsignor Alfonso Airoldi, appassionato di studi orientali, nel 1789 pubblica il Codice diplomatico di Sicilia, spacciandolo per una fedele traduzione dall’arabo. Acquisite fama e fortuna, nel 1793 pubblica il Consiglio d’Egitto. Scoperto l’inganno, l’anno seguente, viene arrestato e muore agli arresti domiciliari il 15 maggio 1815.
Vella, Giuseppe. Libro del consiglio di Egitto tradotto da Giuseppe Vella cappellano del sac. ordine Gerosolimitano, abate di S. Pancrazio professore di lingua araba nella Reale accademia di Palermo, e socio nazionale della Reale accademia delle scienze, belle lettere, ed arti di Napoli, nella Reale Stamperia, In Palermo 1793, 2 vol.
vol. 1: in folio, legatura in cartone. Ottima condizione delle carte.
Si tratta della falsa traduzione delle lettere di Roberto il Guiscardo, Ruggiero i e Ruggiero ii ai sultani d’Egitto.
vol. 2: in folio, coperta in mezza pergamena e carta marmorizzata. Frontespizio mancante. Ottime condizioni di conservazione.
Qui Vella inserisce le leggi di Ruggiero in 315 articoli interamente inventati.
Di questo secondo rarissimo volume si conosceva un unico esemplare conservato presso la Biblioteca Centrale della Regione Siciliana. Ne dà notizia per la prima volta Antonino Pennino nel 1886[13] definendolo «eccessivamente raro anzi unico finora conosciuto». Infatti, scoperta la frode del Vella, la parte già stampata del secondo volume non fu diffusa. Antonino Pennino ipotizza che «qualche amatore di libri, avendo trovato la serie completa dei fogli impressi, siasi dato cura di farli legare in volume, il quale chiuso in private librerie, restò ignoto».
Vella, Giuseppe. Codice diplomatico di Sicilia sotto il governo degli arabi pubblicato per opera e studio di Alfonso Airoldi, dalla Reale Stamperia, Palermo 1789-1792, 6 vol., ill.
Falsa traduzione dall’arabo di un codice manoscritto conservato presso il monastero di S. Martino delle Scale, contenente una vita di Maometto e spacciato dall’autore per il registro della cancelleria araba in Sicilia. Manca il v. 4.
Edizioni del xix secolo
Si rileva che 197 copie di questa raccolta sono state pubblicate anteriormente al 1831. Tra le opere di maggior pregio si segnala:
De Vivo, Tommaso. [Storia del Regno delle Due Sicilie inventata ed incisa da T. De Vivo], s.e., Roma 1833, tav.
Album in folio oblungo con legatura in piena pelle decorata con fregi impressi in oro sui piatti e sul dorso. All’interno 55 tavole incise numerate precedute da 24 tavole non numerate. Mancante di 1 tav. dopo il frontespizio.
Opera molto rara: riscontrato un altro esemplare nel catalogo on-line della British Library.[14]
Edizioni del xx secolo
Nel fondo sono comprese 215 opere edite nei primi decenni del xx secolo. Tra le monografie si trova una seconda edizione del 1935 della Storia dei musulmani di Sicilia di Michele Amari in 3 volumi, di cui il terzo in tre parti.
Opere dedicate al Grand Tour in Sicilia
La stagione del Grand Tour,[15] nella seconda metà del ‘700, arricchisce il racconto del viaggio di caratteri filosofici e spirituali mitizzando il territorio siciliano. Nell’800 la Sicilia viene descritta, secondo un’interpretazione romantica, in modo meno enfatico e più disincantato e in tempi più recenti la descrizione dei luoghi è accompagnata dal preciso intento di documentare non solo gli aspetti artistici, archeologici e naturalistici, ma anche le reali condizioni culturali, sociali ed economiche della Sicilia.
La raccolta libraria Moncada comprende 66 opere di viaggiatori edite tra la fine del xviii e i primi decenni del xx secolo, che costituiscono nel loro insieme un nucleo omogeneo e ampiamente rappresentativo del “viaggio in Sicilia”. Tutte le opere, con rare eccezioni, sono complete delle tavole e delle illustrazioni che spesso mancano, almeno in parte, negli esemplari posseduti da altre biblioteche. Molti volumi sono di grande pregio bibliografico corredati da splendide incisioni; alcuni hanno legature di valore e dedica autografa dell’autore. Sono inoltre interessanti le opere delle “viaggiatrici”, come By the waters of Sicily (Londra, 1901) dell’inglese Norma Lorimer o Impressions de la Sicile (Parigi, 1914) della principessa russa Marie Wolkonsky, che visitò la Sicilia nel 1913 e che nel suo giornale di viaggio, oltre a monumenti e paesaggi, descrive anche le abitudini locali. Questo nucleo è costituito da 37 opere di autori francesi, 14 inglesi, 6 tedeschi, 8 italiani, alle quali si aggiunge il resoconto del viaggio compiuto nel 1183 dal letterato arabo-andaluso Ibn Giubayr pubblicato in lingua francese a cura di Michele Amari nel 1846.
Della collezione Moncada fanno parte ben due esemplari dell’opera:
Orville, Jacques-Philippe de. Sicula quibus Siciliae veteris rudera, additis antiquitatum tabulis, illustrantur, apud Gerardum Tielenburg, Amstelaedami 1764, 2 vol.
Il primo esemplare è costituito da due volumi rilegati insieme con coperta originale in pergamena e impressioni in oro sui piatti e sul dorso. I due volumi del secondo esemplare sono rilegati con coperta in mezza pelle di marocchino rosso e piatti in cartone rivestiti di carta marmorizzata. Tutti i volumi sono completi delle tavole con incisioni all’acquatinta.
Opere di Araldica
Sono presenti 28 opere di araldica siciliana dei secoli xvii-xx: dal Teatro genologico delle famiglie nobili titolate feudatarie ed antiche nobili del fidelissimo Regno di Sicilia viuenti ed estinte di Filadelfo Mugnos (Palermo, 1647-1670) a La storia dei feudi e dei titoli nobiliari di Sicilia di Francesco San Martino De Spuches (Palermo, 1924-1940).
Periodici
Della raccolta fanno parte vari numeri di 30 periodici siciliani del xix e xx secolo. Tra questi si segnalano i 75 numeri del Giornale di scienze, lettere e arti per la Sicilia pubblicati tra il 1823 e il 1841.

Analisi ricognitiva e diagnostica delle edizioni del xvi secolo
Il progetto ha previsto l’analisi ricognitiva e diagnostica del nucleo delle edizioni del xvi sec. che, così come gli incunaboli, deve ancora essere sottoposto a catalogazione da parte della Sovrintendenza Bibliografica, che ne cura la tutela. Si tratta di 37 edizioni cartacee a stampa, di cui 20 siciliane, pubblicate in un arco di tempo che va dal 1527 al 1598. Le edizioni siciliane risultano possedute da almeno una biblioteca siciliana a eccezione dell’opera di Niccolò Tedeschi che sembra essere la cinquecentina di maggiore pregio e rarità della collezione Moncada.
Sono state dunque prodotte – seguendo l’ordine cronologico di pubblicazione degli esemplari – le schede dettagliate[16] dei singoli manufatti librari, corredate dal rilevamento dei dati bibliologici e dello stato conservativo, effettuato dopo un attento e rigoroso esame ottico. In chiave esemplificativa, si riporta una scheda:

Scheda N° 1
Istituto di appartenenza: UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PALERMO
N. inv.: 600-609
Provenienza: Collezione Moncada di Paternò
Autore: [Tedeschi, Niccolò]
Titolo: Commentariorum seu lectura.
i.: Prima pars.... in primum Decretalium librum. ...
ii.: Prima pars... in secundum Decretalium librum. ...
iii.: Secunda pars... in primum Decretalium librum. ...
iv.: Secunda pars... in secundum Decretalium librum. ...
v.: Tertia pars... in secundum Decretalium librum. ...
vi.: In tertium Decretalium librum. ...
vii.: In quartum et quintum Decretalium librum. ...
viii.: Consilia, Tractatus et Quaestiones. ...
ix.: Repertorium super lectu. Panor.  ...  
Tipografo: [in edibus Antonii du Ry, sumptibus honesti viri Jacobi Francisci Giuncta Florentini ac sociorum]
Luogo: Lugduni
Data/datazione: 1527
cc./pp.:
9 voll.:
i.: 276 c.
ii.: 343, [1] c.
iii.: 271, [i.e. 267, 1] c.
iv.: 259, [1] c.
v.: 211, [1] c.
vi.: 344 c.
vii.: 287, [1] c.
viii.: CCXL, [8] c
ix.: [214] c.
Dimensioni/Formato:
25,5 x 19 cm: 
i.: 4°
ii.: 4°
iii.: 4°
iv.: 4°
v.: 4° 
vi.: 4°
vii.: 4°
viii.: 4°
ix.: 4°
Formula collazionale:
i.: aa-zz8, AA-LL8 MM4
ii.: AAA8-ZZZ8, AAAA-VVVV8
iii.: AA-ZZ8, AAA-KKK8 LLL4
iv.: AA-ZZ8, AAA-III8 KKK4
v.: aaa-zzz8, AAA-CCC8 DDD4
vi.: a-z8, A-V8
vii.: aaaa-zzzz8, AAAA-NNNN8
viii.: a-z8, A-F8 G6 H10
ix.: A-Z8, AA-CC8 DD4, [asterisco]2
Impronta:
i.: exmo l.de u-a. &ici (3) 1527 (R)
ii.: ceta eni- 6.i- teor (3) 1527 (R)
iii.: o-ha duri alua rece (3) 1527 (R)
iv.: i-o- i-in tee- Alte (3) 1527 (R)
v.: o.ia dei: oeb* baco (3) 1527 (R)
vi.: vtEt olle e-ia dotu (3) 1527 (R)
vii.: dere aue- oni- ibHo (3) 1527 (R)
viii.: itu. esci iob* deri (3) 1527 (Q)
ix.: ri0. o-5. erpn Agsi (C) 1527 (A)
Decorazioni/illustrazioni: Frontespizi in rosso e nero, ornati con cornici xilografiche e con ritratti di noti canonisti. Marca tipografica sui singoli colophon: due leoni sorreggono uno stemma con le iniziali I.F.Z. appeso a un albero con giglio tra le fronde. Iniziali xilografiche fitomorfe.
Annotazioni manoscritte: Presenti ex libris.
Legatura: Tutti i volumi risultano mutili delle coperte, che dovevano essere relizzate in pelle marrone, come si evince da alcuni frammenti rimasti sui dorsi. Visibili 4 nervi doppi con anima in pelle allumata. Filo di cucitura in canapa.
Precedenti restauri: Assenti.
Note: Rarissima e completa edizione giuntina dell’opera di Niccolò Tedeschi, detto Abbas Panormitanus (1386-1445), canonista, arcivescovo di Palermo dal 1435.[17] Nel vol. 8 sono state asportate, per motivi di censura, le cc. 186-203, che contenevano il Tractatus de Concilio Basiliensi, assente in quasi tutti gli esemplari esistenti dell’opera. Tagli di testa, davanti e piede rifilati e goffrati.

STATO DI CONSERVAZIONE
Tutti i volumi si presentano nel loro complesso in precario stato di conservazione. Mutili delle coperte, hanno mantenuto la cucitura ben salda e in ottime condizioni. Si rilevano: capitelli rotti e staccati; ossidazione e imbrunimento delle carte; infiltrazioni di liquido; strappi e molteplici lacune dovute a massicci attacchi di lepismatidi, anobidi e roditori, soprattutto lungo i tagli dove il corpo delle carte, in alcuni casi, è letteralmente maciullato; presenza di camminamenti e uova di insetti. Il primo fascicolo del vol. 6 risulta totalmente staccato.
Interventi richiesti
Scucitura. Spolveratura e disinfestazione. Restauro delle carte, ove necessario, indispensabile per la fruizione. Nebulizzazione con soluzione idroalcolica e spianamento delle carte. Nuova legatura.
Il lavoro di ricognizione diagnostica sulle edizioni del xvi secolo, nella sua integralità, è frutto di un approfondito studio tecnico-scientifico e di un’oculata disamina storica dei singoli manufatti librari, supportata dalla ricerca bibliografica, dall’esame delle fonti archivistiche, e dall’analisi del loro stato di conservazione.
Nel complesso il fondo risulta omogeneo, di gran pregio, in grado di poter fornire preziose informazioni storiche, considerata la sua configurazione d’interesse prettamente siciliano. Per ciò che concerne l’aspetto conservativo, il nucleo analizzato restituisce informazioni complessivamente rassicuranti poiché si rileva un buono stato di conservazione; sono stati riscontrati i tipici segnali di un degrado che richiede interventi conservativi da effettuare, in alcuni casi, con tempestività soprattutto ove siano stati segnalati casi di infezione microbica o di sfaldamento del supporto cartaceo.
Lo studio effettuato sul Fondo Moncada può costituire dunque un primo strumento, sia pure non esaustivo, utile a studiosi o tecnici che lavoreranno sulla pregevole collezione libraria, un tassello che lo stesso personale della Sovrintendenza potrà immediatamente utilizzare per avere un riferimento analitico sullo stato di conservazione delle edizioni del xvi secolo.

Biagio Bertino



[1] Cfr. O. Cancila, Storia dell’Università di Palermo: dalle origini al 1860, Laterza, Roma 2006, pp. 49-64.
[2] Cfr. La biblioteca della Facoltà di Lettere, Università degli Studi di Palermo, Palermo 1972, p. 5.
[3] Cfr. V. Palizzolo Gravina, Il Blasone in Sicilia, Visconti & Huber, Palermo 1871-75, pp. 265-268.
[4] Cfr. S. Laudani, Lo stato del principe: i Moncada e i loro territori, Sciascia, Palermo 2008, p. 39.
[5] Cfr. R. Pilo, Luigi Guglielmo Moncada e il governo della Sicilia (1635-1639): gli esordi della carriera di un ministro della monarquía católica, Sciascia, Palermo 2008, p. 17.
[6] Archivio di Stato di Palermo, Archivio Moncada. Principi di Paternò.
[7] L. Salomone, Piante geometriche e topografiche nell’archivio Moncada di Paternò, in «Archivio storico messinese» 66 (1995), p. 11.
[8] http://www.treccani.it/enciclopedia/tag/francesco-bonaccorsi/ (ultimo accesso: 29 novembre 2013).
[9] http://istc.bl.uk/search/search.html?operation=record&rsid=1549425&q=34 (ultimo accesso: 29 novembre 2013).
[10] http://www.collorafi.com/it/famiglia/antonio_collurafi.htm (ultimo accesso: 27 giugno 2012).
[11] G. Mira, Bibliografia Siciliana ovvero Gran dizionario Bibliografico, Forni, Bologna 1996, vol. 1, p. 241.
[12] A. Baviera Albanese , L’arabica impostura, Sellerio, Palermo 1978, pp. 117-120.
[13] Sac. A. Pennino, Supplemento, in Catalogo ragionato dei libri di prima stampa e delle edizioni aldine e rare esistenti nella Biblioteca nazionale di Palermo, Biblioteca Nazionale Palermo, Palermo 1886, pp. 328-330.
[14]http://explore.bl.uk/primo_library/libweb/action/search.do?dscnt=0&vl%28174399379UI0%29=any&frbg=&scp.scps=scope%3A%28BLCONTENT%29&tab=local_tab&dstmp=1339437008439&srt=rank&ct=search&mode=Basic&dum=true&tb=t&indx=1&vl%28freeText0%29=de+vivo&vid=BLVU1&fn=search (ultimo accesso: 29 novembre 2013).
[15] Cf. C. De Seta, L’Italia del Grand Tour: da Montaigne a Goethe, Electa, Napoli 2001.
[16] Le schede, nella loro integralità, sono state consegnate alla Biblioteca Centrale della Facoltà di Lettere dell’Università di Palermo, sede di conservazione dei manufatti.