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lunedì 5 ottobre 2015

Milleparolecirca

Giusi Buttitta, Milleparolecirca. Sull'assenza, Palermo, Navarra, 2015, 60 pp., ISBN 97-888-9886-517-8.

Questa cinquantina di pagine di racconti è una promessa. Pubblicato da Navarra, il libretto Milleparolecirca Sull'assenza è l'esordio letterario di Giusi Buttitta, già firma conosciuta in provincia di Palermo, nell'hinterland di Bagheria, dove da più di dieci anni tiene rubriche di opinione e commento su varie testate locali. Giusi Buttitta è una che scrive da Dio, scrive da sempre da Dio, una spanna sopra rispetto a ciò che si legge in ambito locale ma non solo, con una scrittura potente ed evocativa, che mai inciampa e mai ha problemi di ritmo, padrone di una sorta di armonia intrinseca che non si permette sbandamenti o sbavature neanche nella foga polemica più accalorata. Ecco dunque che, dopo più di dieci anni di esercizio allo scrivere - in cui ha pure vinto un importante premio internazionale, l'Endas, con una sceneggiatura scritta insieme all'altro interessantissimo talento bagherese: Paolo Pintacuda - ecco dunque che Giusi Buttitta esordisce con la narrativa pura, pubblicando questi dieci racconti di circa mille parole ciascuno che sembrano tanto - a una prima occhiata - un semplice esercizio di scrittura creativa e che però si rivelano - a una seconda occhiata - molto di più che un semplice esercizio di scrittura creativa. Una promessa, abbiamo detto. Una promessa che si intravede nelle dieci storie narrate magistralmente dall'autrice, storie che - a livello contenutistico - esprimono tutte in un modo o nell'altro una sofferenza, una ferita, una mancanza, soprattutto una mancanza: l'assenza di un'armonia, di un significato, di un'autenticità, di quel qualcosa di indefinibile e inenarrabile, perennemente soggetto di una consapevole ellissi narrativa, che poi è - si potrebbe dire - il vero protagonista di tutti i racconti. Nella storia della cinese di 38 kg che vende cianfrusaglie in spiaggia, o in quella della moglie che non ama più il marito, o della moglie e madre che fugge via da tutto, o del tizio pestato in un vicolo, o del marito che getta l'acido in faccia alla moglie all'uscita dal chirurgo plastico, o dei vari omicidi nati da semplici meditazioni misantropiche, in tutte le vicende raccontate in questo libro - ambientate in quotidianissime location come salotti borghesi, abitacoli di automobili, supermercati, sale d'attesa - c'è un disagio e un'assenza, una rotellina irrimediabilmente fuori posto a causa della quale l'energia vitale dei protagonisti si disperde drammaticamente o si concentra in maniera perversa soprattutto nell'astio e nel disgusto, in una macinazione mentale che diventa critica livorosa e improduttiva, dissacrante, violenta, il più delle volte arbitraria (schema: protagonista che osserva sconosciuti e li comincia a odiare per i loro piccoli dettagli, segue sviluppo più o meno inaspettato). Un'energia vitale che trabocca e non trova contenitori adeguati dentro cui riversarsi. Ma è la scrittura in sé, la forma, il vero e assoluto pregio di questi racconti, con l'autrice che - in un contesto puramente narrativo - si mostra ancora più efficace che negli già efficaci commenti politici. Potente ed evocativa, già detto, soprattutto piena di lampi e scosse elettriche, sorgente continua di sorprese, con un robusto impianto narrativo, spesso utilizzando stratagemmi molto "visivi" e cinematografici, e fulminee illuminazioni di sottigliezza psicologica. Si ride e si rabbrividisce, leggendo la prosa di Giusi Buttitta, soprattutto ci si meraviglia. Per questo è una promessa. Perché si intravedono opere in potenza di altissimo e indiscutibile livello. Ci mettesse più dialoghi e un'ambientazione più riconoscibile - mia opinione - costruisse un bel romanzo meditato e sfaccettato, ed ecco che ci troveremmo dinanzi ad un nuovo fulgido talento di portata nazionale. Questa è la promessa di questo libretto, di questa nuova brillante scrittrice. Ora speriamo solo che la mantenga.

Nino Fricano



Stessa misura, stesso peso, stesso nome

Antonino Giuffrida, Stessa misura, stesso peso, stesso nome. La Sicilia e il modello metrico decimale (secoli xvi-xix), Roma, Carocci, 2014, 172 pp. (Biblioteca di testi e studi, 941), ISBN 978-88-430-7381-8.

Non capita quasi mai di chiedersi nella vita di tutti i giorni da dove provengano o come siano nate le unità di misura, che noi utilizziamo quotidianamente in molte azioni comuni, senza nemmeno rendercene conto: fare la spesa («mi dia 3 etti di prosciutto»), comprare un abito di tagli 48, fare il pieno di benzina. Eppure il sistema metrico-decimale, che noi usiamo con la naturalezza di chi lo utilizza da sempre, non è stato sempre il sistema ponderale in uso in Europa e nel resto del mondo, sebbene esso sia in campo internazionale riconosciuto e adottato da quasi tutti i paesi con qualche eccezione (vedi per esempio il Regno Unito e gli Stati Uniti).
Prima dell'introduzione del sistema metrico-decimale, la quale fu favorita anche dalla sua scientificità (i progressi scientifici tra Seicento e Settecento sarebbero stati impensabili senza il sistema metrico-decimale), in Europa erano in uso sistemi ponderali "a misura d'uomo" (il piede, il palmo, il rotolo, la canna, ecc.), ma che di fatto erano sistemi di numeri complessi. Per spiegarci meglio: il palmo, unità di misura di lunghezza corrisponde a 12 oncie (sottomultiplo), mentre il miglio, multiplo del palmo, corrisponde a 5760 palmi, tralasciando però tutti gli altri multipli e sottomultipli.
I sistemi ponderali di antico regime sono particolarmente interessanti, perché possiedono una forte connotazione sociale e politica e sono misura dei rapporti «che intercorrono tra ceti e delle regole di funzionamento di un mercato». Per questo motivo le riforme di tali sistemi in età moderna indicano la «attivazione dei processi politico-istituzionali di transizione, che caratterizzano gli Stati di antico regime nella fase che porterà ai nuovi equilibri ottocenteschi» (p. 11).
In Stessa misura, stesso peso, stesso nome di Antonino Giuffrida, docente di storia moderna all'università di Palermo, oltre ad essere descritto il sistema ponderale siciliano di antico regime, si analizzano le vicende storico-istituzionali di due importanti riforme del sistema ponderale nel 1601 e nel 1809 avvenute nel regno di Sicilia, fino all'introduzione del sistema metrico-decimale con l'unità d'Italia.
La riforma del sistema ponderale siciliano che si realizza nel 1809, manifesta la volontà di fare ordine in un sistema caratterizzato da una pluralità di soggetti, che godono del favore della tradizione e del privilegio, e quindi di «imporre una sola misura in tutto il Regno», visto che ogni città vantava le sue varianti (ad esempio la "canna", unità di lunghezza se era palermitana equivaleva a m. 2,046142, se era di Messina era di m. 2,090274, mentre con la riforma del 1809 fu fissata a m. 2,06783), che è innanzitutto un tentativo di «consolidare la centralità dello Stato» (p. 12).
Il nuovo clima culturale e civile d'inizio Ottocento e i risultati della rivoluzione scientifica dei secoli precedenti rendono possibile una riforma del sistema ponderale siciliano. Il vero motore della riforma è l'astronomo Giuseppe Piazzi, che insieme ai professori Domenico Marabitti e Paolo Balsamo formano la Deputazione dei pesi e misure. È proprio il Piazzi, infatti, a escludere l'adozione del sistema metrico decimale, per elaborare una «razionalizzazione del sistema basato sui numeri complessi, e in particolare, sul 12, [...] eliminando tutte le varianti accumulatesi nel tempo» (p. 84). La riforma dell'astronomo Piazzi non è indolore e priva di conseguenze. A insorgere contro la riforma sono i Consigli civici e alcuni uffici, che si trovano privati d'un tratto da prerogative secolari. Critiche al nuovo sistema provengono anche dalla Giunta dei Presidenti e del Consultore. Tuttavia la riforma sopravvive, nonostante le difficoltà, sopravvenute dopo l'unione amministrativa del Regno di Sicilia e di Napoli, anche se tra le due parti del regno rimangono vigenti due sistemi differenti.
L'esperienza della Deputazione è importante per la storia siciliana, poiché segna la rottura con un sistema di misurazione inconciliabile la "grande trasformazione economica" che è in corso in Europa. Ciò è dimostrato anche dalla continuità non solo archivistica, ma anche amministrativa tra la Deputazione e la Giunta metri siciliana cui spetta il compito della conversione del sistema siciliano a quello metrico decimale esteso dal regno di Sardegna all'Italia unita.
Per i motivi sopra esposti il libro di Giuffrida è un utile e importante strumento per gli studiosi di storia siciliana e di metrologia.


Piero Canale



Boliviario

Gabriele Camelo, Boliviario. Delusioni e conquiste di un volontario, Milano, Paoline Editoriale Libri, 2015, 244 pp. (Libroteca Paoline, 185), ISBN 978-88-315-3925-8.

Ci vuole coraggio per intraprendere un viaggio come volontario per la Bolivia e a lasciare la vita degli agi e delle cose date per scontate. Ci vuole coraggio ed anche un po’ d'incoscienza per farlo.
Da persona coraggiosa qual è, Gabriele Camelo - autore del Boliviario. Delusioni e conquiste di un volontario - e con un pizzico di incoscienza, ha deciso di mollare tutto e di vivere appieno l’esperienza del volontariato, non per riceverne qualcosa, piuttosto per donare qualcosa a chi sta indubbiamente peggio.
È durante questi lunghissimi mesi che Gabriele entrerà in contatto con gli uomini e le donne, i colori e i profumi, il tempo e la solitudine della Bolivia, che inevitabilmente lo plasmeranno.
Il Boliviario non nasce per essere pubblicato, ma sfogo personale, come ricerca di salvezza per un giovane, partito come volontario del VIS (Volontariato Internazionale per lo Sviluppo) e ritrovatosi di fronte alla solitudine e alla disperazione, non solamente dei bambini e dei giovani emarginati di cui ha dovuto prendersi cura, ma anche e soprattutto di fronte alla solitudine e alla disperazione personali.
I racconti che si susseguono, sotto forma di diario, sono una sorta di dialogo interiore, sono parole e sensazioni dettate da un flusso di emozioni personali, fissate come cura immediata e come memoria futura, affinché il giovane scrittore non dimentichi mai e possa rivivere quanto provato e vissuto.
Leggendo una pagina dopo l’altra, il lettore ha la sensazione di provare le medesime impressioni provate da Gabriele, poiché gioisce delle sue conquiste e si dispera delle sue sconfitte.
Una costante è il rifugio e il conforto che l’autore cerca e trova ogni volta nella Fede, che è una Fede pura, cristiana, senza secondi fini, semplicemente una forza superiore che lo ha sempre accompagnato e che gli ha permesso di completare questo difficile percorso, nonostante lo sconforto abbia più volte preso il sopravvento.
Gabriele farà degli incontri che modificheranno per sempre il suo modo di essere e di vedere la vita. Capirà come le piccole cose, date per ovvie in Italia, in Bolivia non esistono neppure, e di contro apprezzerà il valore e il peso di un abbraccio e di un sorriso di chi vive nella miseria.
A conclusione della sua esperienza, portata a termine non senza contrasti e liti, si renderà conto di avere dato veramente tanto e di avere ricevuto altrettanto, inaspettatamente.
Gabriele Camelo, l’autore, ha conseguito diverse lauree, indispensabili per la sua formazione personale e per il raggiungimento della sua attuale forma mentis. È laureato in Scienze della Comunicazione alla LUMSA, in Pedagogia della comunicazione mediale e in Psicologia presso l'UPS e in Scienze della Formazione primaria presso l’Università dell’Aquila. Ha conseguito un Master in Cinema Digitale e Produzione televisiva presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore, a Milano.
È una mente in continua evoluzione, veloce e curiosa, come si evince anche dal suo scritto, in cui si fa menzione alla sua attività di giocoliere, camminatore sui trampoli, clown.
Ha anche lavorato come autore televisivo per la RAI. Attualmente è autore di reportage per il canale TV2000.
Inserito all’interno della collana Libroteca Paoline, di cui occupa la posizione 185, il Boliviario. Delusioni e conquiste di un volontario è un ottimo diario-documentario, dalla scrittura fluida e dal linguaggio ricercato, da leggere più volte anche a distanza di tempo, per cogliere ogni volta delle diverse sfumature. È una buona lettura anche per i momenti in cui ci si sente persi e abbandonati, da interpretare come rimedio per l’animo e per comprendere come ci sia in ognuno di noi una luce e una forza di volontà, che Gabriele chiama Fede, che ci guida e che ci dà conforto.


Agostina Passantino



Palermo di carta

Salvatore Ferlita, Palermo di Carta, Guida Letteraria della Città, Palermo, Palindromo, 2013, 136 pp., ISBN: 978-88-98447-04-6.

Pubblicato per la prima volta nel dicembre 2013, ristampata poi nel marzo 2015, Palermo di carta è un'utile e interessantissima Guida letteraria della città di Salvatore Ferlita, 41enne docente di letteratura contemporanea e critico letterario dell'edizione palermitana di Repubblica. L'autore si confronta con un fenomeno ampio e multiforme, quello del capoluogo siciliano raccontato in un modo o nell'altro dagli scrittori, e si scontra con le caratteristiche irriducibili di una città e di un consorzio umano che sono sempre state tremendamente affascinanti per i narratori, attraenti forse perché difficilissimi da raccontate, praticamente impossibili da spiegare e teorizzante. Ed è proprio sul filone presunta «inenarrabilità» di Palermo è proliferata - per paradosso ma mica tanto - una nutrita produzione letteraria che prova in un modo o nell'altro l'impresa impossibile. Già, perché - ho letto da qualche parte - i veri scrittori scrivono di ciò di cui sembra sia impossibile scrivere, usano le parole per raccontare ciò che non si riesce a spiegare a parole. E, pienamente cosciente di questa particolarità della sua ricerca, l'autore ci introduce «in una latitudine letteraria che metabolizza il grottesco e il caricaturale, ricorrendo a una cifra espressiva che ha conosciuto una certa fortuna e che forse è stata l’unica declinazione possibile di una palermitanità disperata e sconcertante. Da qui il tentativo (chissà se riuscito o meno) di chi scrive, nella veste improbabile di negromante ma forse anche di psicopompo (una sorta di Caronte in sedicesimi, s’intende), di richiamare in vita questa città sommersa, di svelarne le viscere, di traghettare il lettore verso queste fantasmatiche plaghe».
In allegato al libro c'è anche una mappa letteraria di Palermo che «rappresenta un utile strumento di supporto offerto ai lettori più curiosi, affinché possano avventurarsi e orientarsi in questa Palermo di carta. Mappa che non pretende di essere onnicomprensiva: essa indica semplicemente alcuni dei luoghi chiave dei romanzi e dei racconti approfonditi in queste pagine».
 Tutti gli scrittori e le opere di Palermo di carta. Si comincia con il noir, con le invenzioni linguistiche di Santo Piazzese e i gialli «eretici» di Gian Mauro Costa. Alla «stretta contemporaneità», cui l'autore comunque ritorna sempre, corrispondono le analisi delle opere di scrittori che hanno raccontato Palermo in varie fasi del Novecento e a volte anche dell'Ottocento. Così il secondo capitolo comincia e si conclude con Luigi Natoli, che pubblica la saga dei Beati Paoli a puntate sul Giornale di Sicilia tra il 1909 e il 1910 con lo pseudonimo di William Galt. Un'opera a lungo snobbata come romanzaccio popolare, poi riabilitata da Umberto Eco che firmò una celebre prefazione, e definita dall'autore: «Un’opera letteraria portentosa: non tanto per l’abilità dell’autore (indiscussa) nel gestire un plot complicato, ricco di digressioni, affollato di personaggi, quanto per l’intrico geniale di sfera religiosa e mondo politico: una ferale ragnatela, tramata con la pazienza del ragno». Il «colpo di genio» di Luigi Natoli sta «nell’aver sollevato il coperchio, diciamo così, della città: l’autore infatti ha dato forma a una Palermo parallela ma sotterranea, una città nascosta, fatta di cripte, grotte, luoghi oscuri, cunicoli tortuosi». E a questa «Palermo del sottosuolo», e questa poetica e questi umori della prosa di Natoli, vengono affiancate le esperienze letterarie più disparate: Enrico Onufrio, morto nel 1885 a soli 27 anni, cantore dell'orrido e del ributtante, colui che ha coniato l'espressione «il ventre della città»; e altri scrittori contemporanei, Angelo Fiore (Il Supplente, 1964), Fulvio Abbate (Zero maggio a Palermo, 1990), Domenico Conoscenti (La stanza dei lumini rossi, 1997), Giorgio Vasta (La vita materiale, 2008), Giosuè Calaciura (Malacarne, 1998; e Sgobbo, 2002) Giuseppe Schillaci (L'anno delle ceneri, 2010) che, ognuno a modo loro, hanno ricreato la Palermo piena di ombre e angoli nascosti di Natoli.
Il secondo capitolo è tutto all'insegna di Giuseppe Tomasi di Lampedusa, e soprattutto verso la fascinazione verso le macerie (metaforiche e non) dell'autore de Il Gattopardo. C'è Vincenzo Consolo (Lo Spasimo di Palermo, 1998), Davide Enia (Maggio '43, 2013; e Così in Terra, 2012), Michele Perriera (Atti del bradipo, 1998), Mario Giorgianni (La forma della sorte, 2012), Silvana La Spina (Morte a Palermo, 1978), Marcello Benfante (Cinopolis, 2006), Roberto Andò (Diario senza date o della delazione, 2008) e Davide Camarrone (Lorenza e il commissario, 2006). 
Il terzo capitolo Palermo all'avanguardia comincia con il racconto della cosiddetta «scuola di Palermo», espressione che imperversò durante gli anni '60 e riguardò un gruppo di nuovi scrittori che tentavano - come scrisse Alfredo Giuliani nel volume Feltrinelli che raccoglieva le loro opere - «di assumere il caos esteriore a modello interiore, fitto discutere insieme, sobbollire e schiumare il linguaggio per toglierne via moralismi, ideologie e spurie fatture di violenza». Sperimentali e visionari, influenzati dall'avanguardia e capaci di devastanti invenzioni linguistica sono Angelo Testa (Cinque, 1968; Perapprossimazione, 1978; Azzonzo, 2001) e Antonio Pizzuto (Si riparano bambole, 1960, Testamento, 1969) e i loro “eredi” Francesco Gambaro (Palermo-Civico-Palermo, 1999; I Giorni Quanti, 2002) e Sergio Toscano (Tempo residuo a Palermo; 1999, Diario Palermitano, 2003).
Il quarto capitolo, In una città demotica e picaresca, ci racconta della Palermo del colore, dell'avventura e dei toni espressionistici, con Roberto Alajmo (È stato il figlio, 2006; Le scarpe di Polifemo e altre storie siciliane, 1998), Nino Vetri (Lume Lume, 2010), Giuseppe Rizzo (L'invenzione di Palermo, 2010), Evelina Santangelo (Il giorno degli orsi volanti, 2005, Cose da Pazzi, 2012), Emma Dante (Via Castellana Bandiera, 2008), Piergiorgio Di Cara (Cammina stronzo. Sbirri a Palermo, 2000) Valentina Gebbia (Estate di San Martino, 2003; Per un crine di cavallo, 2005).


Nino Fricano



La memoria di Elvira

La memoria di Elvira, Palermo, Sellerio, 2015, 288 pp., (La memoria, 1000) ISBN - 88-389-3343-X.

Un racconto a più voci sulla figura di Elvira Sellerio. Il millesimo titolo della collana La memoria è dedicato alla "grande signora dei libri", grazie al contributo degli autori che raccontano di lei in questo volume.
La memoria è la celeberrima collana, nata nel 1979 da una sollecitazione di Leonardo Sciascia, al cui successo ha certamente contribuito l'elegante veste grafica ideata dal fotografo Enzo Sellerio, ma che probabilmente vede nelle intuizioni di Elvira Sellerio il principale motivo di una fortuna che sembra non avere fine. È una collana che raccoglie nuove idee: i gialli, che non sono più letteratura minore ma qualcosa di raffinato; i classici del mondo antico valorizzati e riportati alla luce; i resoconti della Conquista spagnola; i romanzi della Russia degli anni Ottanta; i pamphlet che hanno la forza del romanzo; i memoires. Scelte mai ovvie, spesso controcorrente, lontane dalle mode, che spesso si sono anzi imposti come modelli. Non a caso il numero uno della collana è Dalla parte degli infedeli di Leonardo Sciascia, un titolo che è già esso stesso un programma. 
Questo libro, il millesimo titolo, La memoria di Elvira, è un omaggio a Elvira Sellerio e da lei ispirato, ma non è un libro su Elvira Sellerio. Si narra, invece, del rapporto della "mitica Signora" con i numerosi autori della casa editrice.
Camilleri, Gimenez-Bartlett e tutti gli altri raccontano - in verità con molto garbo - il loro incontro con Elvira. Il risultato è apprezzabile; la figura della Sellerio rimane sullo sfondo quasi come una presenza impalpabile ma sempre gradevole, sempre stimolante. La si vede mentre accende le sue Benson; si apprezza il luccichio dei suoi occhi, quando intuisce il capolavoro che altri ignorano. Eppure bisogna dire che chi vuole saperne di più sulla vicenda editoriale della Sellerio deve cercare altrove. Infatti, come scrive Maria Attanasio (scrittrice e poetessa siciliana) «sottrarmi soprattutto al teatro dell'io, che parlando dell'altro, non sa tacere di sé»; e ancora Francesco Recami, l’autore di L’errore di Platini e Il correttore di Bozze, candidamente confessa: «In questo piccolo ricordo di Elvira Giogianni, devo scusarmi, ma parlerò più di me che di lei. È un errore tipico da scrittore...».
Non cade in questo vizio Adriano Sofri che, nel suo intervento, è prodigo di notizie sulla vita di Elvira, la sua infanzia, i suoi gusti, il suo lavoro: «Ebbe un’infanzia assestata di libri...», «Ci sono libri che aveva avuto da bambina e da ragazza. Quelli perduti li aveva ricomprati nel corso degli anni, e ricostruiva le collane predilette. Soprattutto La Scala D’Oro della UTET». Forse è Camilleri a chiarire chi era Elvira Sellerio: «Dei grandi editori leggendari, Arnoldo Mondadori in testa, Elvira possedeva il fiuto... È assai difficile da spiegare cosa sia il fiuto. È un dono naturale, come quello dei rabdomanti che sentono l’acqua sottoterra. Le bastava sfogliare le prime pagine di un dattiloscritto per sentire la presenza di un autore autentico». Un libro tributo che a tratti rischia di scadere nella retorica, ma che comunque vale la pena di leggere.
Infine, una nota personale. Quando tanti anni fa comprai il mio primo libretto della collana La memoria non avrei mai pensato che questi libri con la copertina blu, chiamati anche "i fiori blu di Elvira", avrebbero riempito gli scaffali della mia libreria. A tutt'oggi ho un centinaio di volumi di questa splendida collana, tutti quelli scritti da Sciascia, Camilleri, Alicia Gimenez Bartlett, Marco Malvaldi, Santo Piazzese e così via, proprio a sottolineare la fortuna di questa collana tra i lettori.
Quando mi trovavo a passare da Via Siracusa, a Palermo, non potevo fare a meno di dare uno sguardo a quel portoncino con l'insegna "Edizione Sellerio". Mi sarebbe molto piaciuto conoscere i protagonisti di questo miracolo palermitano. Una casa editrice nata e sviluppatasi nella nostra città che si misura con i colossi dell'editoria italiana. Ecco perché mi è sembrato naturale acquistare e leggere immediatamente La memoria di Elvira.
La raccolta si compone degli scritti di Luisa Adorno, Maria Attanasio, Attilio Brilli, Antonino Buttitta, Andrea Camilleri, Vincenzo Campo, Luciano Canfora, Francesco M. Cataluccio, Remo Ceserani, Masolino d’Amico, Gianfranco Dioguardi, Daria Galateria, Alicia Giménez-Bartlett, Maria José de Lancastre, Alessandra Lavagnino, Salvatore Silvano Nigro, Santo Piazzese, Gianni Puglisi, Francesco Recami, Giuseppe Scaraffia, Adriano Sofri, Sergio Valzania, Piero Violante.


Vincenzo Accurso